Tasso di dispersione scolastica in aumento, comuni del Mezzogiorno in dissesto, problemi di bilancio e mancata definizione dei Lep. Tutti ingredienti che potrebbero portare all’aumento dei divari salariali tra insegnanti del nord e del sud dopo l’eventuale l’approvazione dell’autonomia differenziata, ora in attesa del passaggio alla Camera, visto che è appena partito l’iter in commissione.

L’ex vicesindaco di Napoli, Enrico Panini, che ha alle spalle una lunga storia di sindacalismo come segretario generale della Cgil scuola, non usa mezzi termini per descrivere la situazione in cui si trova il sud Italia: «Esiste un burrone profondo che divide il nostro paese. Due scuole diverse di cui una drammaticamente povera. Pensi che ogni cinque anni un bambino del sud perde un anno di scuola rispetto al suo coetaneo del nord (fonte Svimez, ndr). Vogliamo continuare a descrivere questo burrone che spacca l’Italia e i destini dei giovani che spesso evochiamo in commossi discorsi?»

I numeri sulla scuola

Parlano le cifre: il 79 per cento degli alunni delle scuole primarie nel sud non ha la mensa, nel centro nord il dato è al 46 per cento. Il 18 per cento degli alunni del sud può godere del tempo pieno contro il 48 per cento del centro nord. Il 66 per cento degli studenti della scuola primaria del sud non usufruisce di una palestra.

Nel centro nord è il 54 per cento. L’Italia è il quarto peggior paese d’Europa per quanto riguarda la dispersione scolastica e Catania è la città con il più alto tasso di dispersione scolastica in Europa.

Dietro a questa frattura, continua Panini, «ci sono non solo opportunità di vita molto diverse ma si alimenta disoccupazione, lavoro povero, sfruttamento, illegalità. A parte il lavoro di alcuni statistici, la politica da decenni non si è occupata – né tantomeno se ne occupa ora – di sanare questo divario che, invece, continua a crescere e che con il disegno di legge Calderoli crescerà esponenzialmente».

Se il divario appare dunque strutturale, per Panini «l’unico modo per superare questo drammatico divario consiste in un paese unito e in una politica che decide non di osservare distrattamente come fa da decenni, con rare eccezioni, le crescenti differenze ma di intervenire con decisione per superarle così come recita l’articolo 3 della Costituzione».

Una delle crescenti preoccupazioni sul disegno di legge, riguarda le condizioni contrattuali degli insegnanti e la condizione di dissesto dei comuni, ovvero la situazione in cui gli enti non riescono a fornire i beni e i servizi essenziali per la comunità; dato che la maggior parte dei comuni in dissesto o predissesto sono nel Mezzogiorno.

Rossella De Marco, insegnante a Lampedusa, dice a Domani che, benché ora gli stipendi degli insegnanti non varino da nord a sud, il problema dei salari sta comunque generando preoccupazione: «L’autonomia differenziata creerebbe una spaccatura dal punto di vista salariale, creando un regionalismo spinto e asimmetrico. Dovrebbe essere ovvio che il residuo fiscale delle regioni del nord non è lo stesso delle regioni del sud, conseguentemente ne deriverà una spaccatura in termini salariali: un insegnante del nord avrà uno stipendio più alto di uno del sud».

Per Panini «non c’è dubbio che le regioni del sud non saranno in grado di far fronte ad aumenti che vadano oltre l’inflazione. Certo, non fiumi di denaro, come si intende favorire nell’immaginario, ma qualche cosa in più nelle regioni ricche in cambio della cancellazione della libertà di insegnamento, per tutti».

C’è poi l’annosa questione legata ai dati sulla dispersione scolastica, diffusi da Svimez, che rispecchiano l’immagine di un’Italia divisa in due: al centro nord il tasso di abbandoni è del 10,4 per cento, nel Mezzogiorno del 16,6 per cento, Napoli arriva a sfiorare il 23 per cento. Una disparità che riguarda tutti i servizi, dalle mense alle palestre al tempo pieno.

Soldi e divari

La questione economica dei comuni del sud, di primaria importanza per una lettura a tutto tondo di ciò che si prospetta, ha molto a che vedere con i problemi di dissesto economico: nelle risorse dei comuni del Mezzogiorno c’è, per Panini, «il vero dramma» dell’autonomia differenziata ed «è la fine della libertà di insegnamento perché è evidente che una scuola regionale significa programmi regionali, amministrazione regionale, controllo regionale. Vogliamo parlare di quanto accade, al riguardo, nella sanità o in tanta formazione professionale? Il secondo sta nella fine di ogni politica compensativa che, per chi ha meno risorse, significa ancora meno possibilità di superare il divario. Le norme contabili, a riguardo, sono precise: ogni somma disponibile deve essere spesa per ridurre l’indebitamento che ha determinato dissesto o predissesto, ovvero non sono possibili investimenti sulla scuola, per esempio per costruire una mensa».

Nel 2022, secondo i dati, erano 2,5 milioni le persone che vivevano in famiglie in povertà assoluta al sud: 250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al centro nord). Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3 per cento).

Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quelli osservati sul totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.

«Partiamo da una situazione di svantaggio oggettivo» conclude Rossella De Marco «nel meridione sono notevoli le difficoltà socioeconomiche sia delle famiglie, sia degli studenti. Diverso è il substrato culturale, più fragile. Per quanto concerne gli edifici scolastici sono spesso privi dei requisiti essenziali alla didattica. Tutto questo ha delle ripercussioni anche sull’apprendimento. Come concetto la divisione non porta mai miglioramenti. L’Italia ha impiegato diversi secoli a costituire una sua identità culturale e adesso rischia di essere minata più che mai».

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