Nel giorno successivo all’apertura della campagna elettorale referendaria da parte della premier Giorgia Meloni, il centrodestra si schiera a difesa delle misure bandiera del governo, continuando a portare avanti la strategia che la presidente mette in atto per non portare il discorso sulla sua prima legge di Bilancio e sui problemi che sono ancora da risolvere con Bruxelles, come la riforma del patto di stabilità e la questione ancora aperta del Mes.

Se a rivendicare che a ispirare l’avallo del cancelliere tedesco Olaf Scholz alla costruzione di centri di accoglienza in paesi terzi sia stato il patto con l’Albania è il capogruppo alla Camera Tommaso Foti, a presidiare la riforma costituzionale pensa nientemeno che il presidente del Senato. Dal palco dell’iniziativa di FdI per l’anniversario della caduta di Berlino Ignazio La Russa ha assicurato che sarà garante della possibilità di mettere mano al testo.

«Io sono quello che ha fatto la prima intervista dicendo che sarà garantito a tutti l'esercizio dei diritti del regolamento e quindi la possibilità di cambiare e migliorare. Poi dipende dai voti se passeranno o no come proposte. Ma sicuramente il regolamento sarà totalmente rispettato». Il testo non è nemmeno arrivato in parlamento ancora, ma la sua premier ha già messo le mani avanti per convincere i cittadini che il voto al referendum sarà il modo per decidere in prima persona, in modo da scongiurare la scelta di presidenti non eletti (ma lo stesso apprezzati dall’elettorato) come Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi. Nello stesso video degli appunti di Giorgia con cui Meloni lancia la campagna spiega anche – con la retorica tipica della destra, che nonostante un anno passato al governo si mette ancora sulla difensiva in ogni occasione – che «nessuno può buttarci giù» finché l’esecutivo avrà il consenso della gente.

Sulla stessa falsariga un altro passaggio di La Russa, che ha sottolineato come «a tanta gente brucia che io sia presidente del Senato». Le parole della seconda carica dello stato fanno il paio con le dichiarazioni di Daniela Santanchè, che alla stessa manifestazione rivendica l’impegno di piazza della destra in contrapposizione a quello della manifestazione del Pd di ieri pomeriggio: «Noi la piazza non l'abbiamo mai abbandonata, in piazza ci siamo sempre, per noi è una cosa normale». La nostra «è stata una bella manifestazione dove abbiamo messo al centro i valori dell'Occidente» ha aggiunto. E a chi le ha fatto notare che l'affluenza non è stata altissima ha risposto che «oggi far partecipare le persone in piazza è sempre più difficile ma c'è stata una partecipazione giusta. Poi dagli altri partiti ci sono i leader, noi oggi non avevamo il nostro leader in piazza».

Comunicazione e sciopero

Ma mentre FdI si sforza in una manovra comunicativa di sostegno alla premier, i problemi che fioriscono intorno o addirittura all’interno del governo non si esauriscono. All’orizzonte c’è lo sciopero generale del 17 novembre, visto come fuoco negli occhi soprattutto dai leghisti. In passato il ministro dei Trasporti Matteo Salvini non ha avuto problemi a fare ricorso alla precettazione e anche negli ultimi giorni che precedono la mobilitazione, il segretario della Lega fa la voce grossa contro chi ha intenzione di incrociare le braccia venerdì prossimo.

«Siamo sicuri che la Cgil, silente quando venne approvata l'infausta legge Fornero e convocata lunedì dalla Commissione di garanzia in vista dello sciopero proclamato per il 17 novembre, ridurrà la mobilitazione o la rimanderà così come auspicato dal Ministro Matteo Salvini» si legge in una nota diffusa nel pomeriggio. Un messaggio che è destinato a gettare ulteriore benzina sul fuoco agli occhi della Cgil, che ha già ampiamente denunciato tutti i problemi della finanziaria firmata da Meloni.

Preoccupato per lo sciopero anche il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato: «Ci sono criticità, ma si sta cercando di porvi rimedio. Al netto di questo, scioperare lo riterrei ingeneroso nei confronti di chi governa questa nazione da 12 mesi e sta ponendo puntualmente rimedio a tutta una serie di criticità». Per non farsi mancare niente, nella lista delle priorità della premier è risalito di livello anche lo scontro tra il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e Vittorio Sgarbi.

I due sono attualmente “separati in casa” e non hanno più rapporti, ma il sottosegretario non perde occasione per pungolare quello che sarebbe il suo superiore. Il sindaco di Arpino si è congratulato con il ministro per la scelta di Geronimo La Russa per il cda del Piccolo di Milano proprio nelle ore in cui infuriava lo scandalo intorno alla presunta parentopoli. Ieri, invece, Sgarbi ha proposto che Miss Italia – che non è stata trasmessa su Rainews soltanto per un intervento in extremis dell’amministratore delegato Roberto Sergio – diventi bene culturale «come Sanremo, come il Natale, come il 2 giugno». Un’altra provocazione a Sangiuliano, dopo che Sgarbi ha annunciato che, pur non potendo presiedere la giuria come era previsto inizialmente, parteciperà alla serata come ospite.

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