La vicenda del presunto stupro in cui sarebbe coinvolto Leonardo Apache La Russa sta facendo emergere interessanti questioni di diritto. Una di queste riguarda lo status del padre, il senatore Ignazio La Russa, e l’immunità parlamentare. Immunità che sta comportando alcune cautele nello svolgimento dell’indagine, nonostante essa riguardi il ragazzo, e non il padre.

È stato sequestrato il cellulare del giovane La Russa, ma non la scheda telefonica. Quest’ultima risulterebbe intestata a una società collegata allo studio legale in cui lavora il padre, e quindi sarebbe indirettamente riconducibile al senatore. L’immunità costituzionalmente prevista richiede che, prima di procedere a una serie di atti – tra cui rientrerebbe anche il sequestro della scheda – sia fornita l’autorizzazione da parte della camera di appartenenza del parlamentare.

È necessario chiarire la questione in punto di diritto: il rischio è che la sfera dell’immunità sia ampliata in maniera illimitata, distorcendone la ratio.

L’immunità parlamentare

Per svolgere in piena libertà le proprie funzioni i membri del parlamento godono di particolari garanzie (articolo 68 della Costituzione), le cosiddette immunità.

Da un lato, deputati e senatori non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (insindacabilità). Dall’altro lato, «senza autorizzazione della camera alla quale appartiene, nessun membro del parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale», salvo che in caso di sentenza irrevocabile di condanna o di arresto in flagranza.

«Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del parlamento a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza» (inviolabilità).

L’inviolabilità, nell’ambito dell’immunità parlamentare, nasce dall’esigenza di offrire a deputati e senatori una garanzia affinché possano svolgere il proprio mandato in piena indipendenza e senza subire attacchi strumentali. Questa ratio è stata evidenziata con chiarezza dalla Corte costituzionale. Secondo la Corte, l’articolo 68 della Costituzione «mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull’esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioè, dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione».

«Destinatari della tutela – afferma la Consulta – non sono i parlamentari uti singuli, ma le assemblee nel loro complesso. Di esse si intende preservare la funzionalità, l’integrità di composizione (…) e la piena autonomia decisionale, rispetto a indebite invadenze del potere giudiziario». In altre parole, si tende a evitare che qualcuno possa incidere sulle decisioni del parlamento con false accuse di reati ed eventuali arresti di suoi componenti. Ciò spiega il motivo per cui l’immunità è irrinunciabile da parte di deputati e senatori.

Il caso La Russa

Il cellulare di Leonardo Apache è stato sequestrato, in quanto bene mobile in possesso del ragazzo, quindi immediatamente riferibile a lui. La sim, invece, non è stata acquisita dalla procura perché, essendo intestata a una società connessa allo studio legale del presidente del Senato, è stata ritenuta riconducibile a lui e, come tale, non sequestrabile senza autorizzazione della Camera di appartenenza. Il collegamento del parlamentare a quella scheda è quindi indiretto, e comunque labile.

È vero che, come detto, l’immunità non è rinunciabile, essendo posta a tutela delle funzioni parlamentari. Ma se la scheda telefonica – la cui riferibilità a La Russa è abbastanza “annacquata” – è sempre stata nell’uso solo di suo figlio, non dovrebbe essere esclusa per il parlamentare la possibilità di rinunciare all’inviolabilità, superando il dato formale dell’intestazione.

Il senatore potrebbe dichiarare che la sim non è di sua pertinenza, essendo rimasta sempre nella sola disponibilità di Leonardo Apache. Se nella scheda fossero memorizzate conversazioni tra padre e figlio, com’è possibile che sia, le stesse potrebbero venire scartate così come lo saranno per il cellulare. Dunque, perché La Russa non mette la sim a disposizione dei magistrati, così da chiarire la posizione di suo figlio, che lui stesso ha «interrogato» assolvendolo da ogni colpa?

Il fatto è che Ignazio La Russa ora si trova in una sorta di cul-de-sac. Se attestasse che la sim era usata in via esclusiva da suo figlio, indurrebbe a chiedersi perché essa fosse formalmente intestata a una società legata allo studio legale di cui il padre è uno dei soci. In chi volesse pensare male, la circostanza potrebbe far sorgere il sospetto che quella formale intestazione perseguisse la finalità di una ottenere uno sgravio fiscale. Ciò solleverebbe perplessità sulla condotta del senatore.

Ma perplessità vi sarebbero anche se La Russa continuasse a tacere, attestando così implicitamente che la scheda telefonica non era nell’uso esclusivo di suo figlio, bensì di propria pertinenza, e pertanto potrebbe contenere dati e informazioni da tutelare, per cui serve l’autorizzazione del Senato prima di procedere a sequestro e altro.

Allora sarebbe inevitabile chiedersi per quale motivo una sim contenente elementi così delicati sia stata lasciata nelle mani di un ragazzo, anziché essere custodita dal parlamentare, come doveroso.

Infine, la questione La Russa rischia di costituire un pericoloso precedente in tema di immunità. Paradossalmente, se ogni parlamentare intestasse a sé o a proprie società schede telefoniche o altri beni che poi fossero usati in via effettiva ed esclusiva da terzi, la portata dell’inviolabilità ne risulterebbe ampliata in modo illimitato. È palese la distorsione. Nelle valutazioni che saranno fatte sulla vicenda, sarà necessario tenere presente pure questo aspetto.

© Riproduzione riservata