Troppi sono stati i commenti negativi sul lungo corso del congresso e poi delle primarie del Partito democratico. Alcuni hanno sottolineato il niente assoluto delle proposte in campo, la mancanza di visioni politiche, la riduzione del partito a una cabina di regia di tattiche e mosse contingenti, la irrilevanza delle candidature – prima quattro, poi, dopo l’esclusione al primo round di Paola De Micheli e di Gianni Cuperlo, due: Stefano Bonaccini ed Elly Schlein.

Con tutta sincerità e senza fare sconti a un partito sempre in mezzo al guado per non scegliere a quale sponda attraccare, molti di questi commenti sono ingenerosi e non attenti. Sono prevenuti: perché leggere i programmi se si presume che si tratti di atteggiamenti da campagna elettorale (per le primarie)?

Le due mozioni che si contendono le primarie del 26 febbraio sono diverse, anche se con una ovvia base di similitudine. Dopo tutto si tratta di una contesa dentro il perimetro di un partito. Le differenze però ci sono e non sono irrilevanti. Soprattutto se ci si concentra sul ruolo del partito, come ha sostenuto in un ottimo intervento Marco Valbruzzi.

Prendi tutto o faro?

La mozione Bonaccini è ritagliata su un’idea di partito “catch-all”, un partito “prendi tutto” che aspira ad attirare voti da tutte le parti della società che si posizionano non a destra (ma anche cercando di attrarre chi ha votato a destra). Il partito come una “piattaforma” alla quale si appoggiano o della quale si servono per la loro navigazione, interessi anche distanti.

Questi interessi sono impersonati dalle sigle e dai leader – ovvero il Partito democratico si propone come magnete di alleanze di vertice. Un partito consensuale, dunque, che per esempio vuole tenere insieme lavoro e capitale in armonia. Che vuole tenere insieme ambiente e crescita, autonomia regionale e unità nazionale. Un tentativo insomma di accomodamento e mediazione mediante una politica di accordi e alleanze. Un partito dai bordi labili, aperto al vasto mondo. Catch-all, appunto.

La mozione Schlein propone un partito che vuole riconoscersi come parte. Vuole certamente attrarre consensi e quindi è attento agli interessi che vivono nella società; però non si propone come “catch-all” ma come punto di unione di lotte e contestazioni, di rivendicazioni e obiettivi. Non una piattaforma ma un faro che indica dove andare e non andare a coloro che cercano una rappresentanza politica di interessi non sempre combinabili.

Per esempio, la mozione Schlein usa, come quella di Bonaccini non fa, la parola “redistribuzione” e apre in questo modo una faglia tra interessi che possono difficilmente trovare armonia o consenso, benché debbano tendere a una soluzione. Verso la quale si va mediante il conflitto, ovvero la partecipazione degli attori medesimi, dei cittadini, non partendo dagli accordi con i leader. Un partito che si situa dentro i conflitti e se ne fa leader.

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