Ci sono quelli da ammorbidire e quelli da spiare, quelli da premiare e gli altri da calunniare, magari facendoli passare anche per mafiosi. Amici e nemici. Tutti dentro un’informativa di polizia che ricostruisce «I rapporti del Montante Antonio Calogero con i giornalisti», sessantuno pagine finite nel processo di Caltanissetta contro l’ex vicepresidente di Confindustria condannato in primo grado a 14 anni di reclusione per associazione a delinquere e dossieraggio. I giornalisti citati nel documento e indicati a vario titolo vicini a colui il quale era considerato un faro dell’Antimafia italiana sono poco meno di una trentina, quindici i siciliani.

Nessun profilo penale ma promiscuità, scambi di favori, cortesie, in alcuni casi contributi redazionali. L’obiettivo di Montante «era quello di assicurarsi un’informazione distorta», gli interessi dei giornalisti i più disparati.

L’elenco dei favori

Omar Abd el Naser

Dalla nota della squadra mobile di Caltanissetta, uno dopo l’altro i loro nomi. Il capo della redazione Rai di Palermo Vincenzo Morgante chiedeva una promozione, il direttore del Giornale di Sicilia Giovanni Pepi riceveva finanziamenti per mostre fotografiche e il caporedattore di Caltanissetta Giuseppe Martorana strappava un contratto in Confindustria, l’ex responsabile delle pagine culturali del Foglio Giuseppe Sottile otteneva una consulenza in regione per la figlia, l’editore del quotidiano online Il Fatto Nisseno Michele Spena incassava sponsorizzazioni.

Altri nomi di giornalisti nell’elenco stilato dalla polizia: Lirio Abbate dell’Espresso, l’ex direttore di Panorama Giorgio Mulè, Franco Castaldo de La Sicilia, Valerio Martines e qualche altro ancora. A sostenere Montante nella sua “battaglia legalitaria” anche Filippo Astone con un libro sugli “eroi siciliani” dell’Antimafia farlocca (quelli finiti sotto processo o condannati) e il giornalista del Sole24Ore Roberto Galullo «che ha un rapporto molto stretto con il Montante e a quest’ultimo asservito nell’informazione che attiene a tutto ciò che riguarda il Montante».

Mefitici gli effetti del caso Montate sull’informazione siciliana, molto silenzio, la vicenda trattata perlopiù come un “impazzimento” del soggetto e non come una trama del potere infetto italiano con pupi e pupari, capi dei servizi segreti, generali dei carabinieri e della finanza, magistrati, ministri della Repubblica, prefetti.
Quando un giornalista non era gradito il Cavaliere Calogero Antonio Montante lo faceva “sorvegliare“ dai suoi complici al Viminale.

È capitato all’editore del settimanale messinese Centonove Enzo Basso e alla direttrice Graziella Lombardo. Sono finiti in un dossier, custodito in una stanza segreta della villa di Montante.

La polizia “parallela”

Ma la storia più sconvolgente, per i personaggi coinvolti, è quella che ha avuto come vittima Francesco Foresta, il direttore del giornale online palermitano Live Sicilia. Una polizia antimafia “parallela” si mette in moto per colpire il giornalista. Lo vuole Montante e il prefetto Arturo De Felice, capo della Direzione investigativa Antimafia dal 2012 al 2014, ubbidisce.

L’ordine è far aprire, dal niente, un’indagine contro Foresta. Anzi due: una di tipo investigativo puro e l'altra patrimoniale. Il direttore della Dia investe il capo centro di Palermo, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata poi passato nei servizi segreti.

Il colonnello fa pressioni su due suoi ufficiali (lo testimonieranno davanti ai procuratori) affinché mettano sotto controllo il giornalista per sporcarlo. Gli ufficiali non cadono nel tranello di D’Agata che comunque un giorno comunica ai suoi della Dia: «Ho trovato una sponda». Qualcuno, alla procura di Palermo, abbocca.

E Foresta finisce in un’indagine di mafia costruita in laboratorio. Resta da scoprire chi e perché, alla procura palermitana, abbia avviato investigazioni sul nulla. Per il prefetto De Felice (che avrà due figli sistemati «grazie all'intercessione di Montante») e per il colonnello D’Agata è già stato chiesto il rinvio a giudizio.

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