«Al suo arrivo in hotel indossava una camicia, il primo bottone sbottonato, la sua abbronzatura era forte, decisa, molto estiva e gli conferiva un’aria spensierata», scriveva il ministro degli Esteri Luigi Di Maio parlando di Giuseppe Conte nel suo (discusso) libro autobiografico, nel capitolo sulla nascita del primo governo Conte. Quattro estati dopo l’idillio è finito, dopo l’esito disastroso delle elezioni comunali, che ha visto i Cinque stelle perdere ancora consensi, Di Maio ha criticato duramente l’attuale presidente del partito. Conte ha replicato colpendo il ministro su un punctum dolens: il limite dei due mandati.

La rottura

La rottura tra i due è passata dalle scaramucce nelle segrete stanze allo scontro a viso aperto. Rigorosamente a distanza. Le frizioni tra i due hanno iniziato a emergere alla fine dell’anno scorso, durante le elezioni dei capigruppo di Camera e Senato. Conte era stato nominato da poco presidente e quella dei capigruppo era la sua prima partita da leader.

A novembre 2021 è arrivata la prima sconfitta: viene eletta capogruppo Mariolina Castellone, invece di Ettore Licheri, candidato preferito da Conte. Di Maio ha invece festeggiato: «Anche se in ritardo come Movimento, dobbiamo necessariamente valorizzare sempre più la leadership femminile».

A dicembre l’elezione si è ripetuta alla Camera, e lì è stato rieletto Davide Crippa, già sottosegretario del ministero dello Sviluppo economico, dicastero guidato in precedenza proprio da Di Maio. Dopo il declino del governo tra M5s e Lega, e il cambio di esecutivo, Crippa ha tenuto le redini del gruppo a Montecitorio. Il candidato di Conte, invece, era il deputato Angelo Tofalo, già sottosegretario alla Difesa nei governi Conte I e II e molto vicino al presidente.

Poche settimane dopo, durante l’elezione del presidente della Repubblica, i due hanno mostrato visioni opposte sulla possibile candidatura di Elisabetta Belloni, capa del Dis, il dipartimento per la sicurezza, diventata l’ennesimo capitolo di questa relazione tormentata. Belloni è stata proposta da Giuseppe Conte, Beppe Grillo aveva dato il tuo via libera: «Benvenuta Signora Italia, ti aspettavamo da tempo. #ElisabettaBelloni». Alla fine, però, al Quirinale è stato riconfermato Sergio Mattarella, nome fortemente voluto da Di Maio.

Il ministro degli Esteri ha criticato Conte per aver fatto circolare il nome di Belloni: «Trovo indecoroso che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni. Senza un accordo condiviso. Lo avevo detto ieri: prima di bruciare nomi bisognava trovare l’accordo della maggioranza di governo».

Con Conte lo scontro è continuato anche nei mesi seguenti. A febbraio, prima che fosse fatto fuori, Di Maio aveva optato per l’abbandono del comitato di garanzia del Movimento. Un modo per salvarsi ma anche, definitivamente, per allontanarsi. Non dalla partita politica, ma da Conte stesso.

Poco tempo dopo, nel pieno dell’invasione russa dell’Ucraina, il presidente della commissione Esteri Vito Petrocelli ha iniziato a rilasciare dichiarazioni ambigue e pro Putin. Da una parte, quindi, un ministro degli Esteri atlantista e, dall’altra, un presidente di commissione, in quota M5s, putiniano.

Dopo una serie di proteste e le dimissioni di tutti i membri della commissione, la presidenza è stata messa di nuovo ai voti. Sarebbe dovuta rimanere in mano ai Cinque stelle, ma l’accordo su un nuovo nome tra i senatori vicini a Di Maio e quelli vicini a Conte si è trovato senza alcun entusiasmo. E non ha retto: al posto di un Cinque stelle è stata eletta Stefania Craxi, filo putinana anche lei, ma di Forza Italia.

La coppia

Non si può dire se la coppia Di Maio-Conte sia mai davvero nata nonostante la convivenza in due governi. I fatti dicono l’esatto contrario. In ogni caso, da quando Mario Draghi è diventato presidente del Consiglio, Di Maio ha vestito gli abiti del leader dell’ala governista del Movimento, con cui ha difeso anche sé stesso, tenendo conto che fa parte del governo ininterrottamente dal 2018.

E proprio su questo istinto all’autoconservazione Conte lo attacca rispondendo alle accuse di scarsa democrazia: «Quando era leader Luigi Di Maio, come organismo del M5s, c’era solo il capo politico: che ci faccia lezioni lui oggi fa sorridere».

Di Maio e Conte litigano su chi sia più atlantista ed entrambi non apprezzano reciprocamente gli interventi in politica estera. Ma il problema è tutto interno. I malumori, dice Conte, potrebbero essere causati dal limite dei due mandati che gli iscritti del movimento dovranno conservare o buttare via con un prossimo voto.

Anche Di Maio è al secondo giro in parlamento ma potrebbe essere tra gli esentati. Restano da salvare i fedelissimi: «Siamo alla vigilia di un appuntamento importante con la valutazione sul doppio mandato. Quindi è un momento di fibrillazione preventivabile per le sorti di moltissime persone del movimento», ha detto ieri Conte. Insomma, entrambi non vogliono più stare assieme mentre il Movimento continua a perdere consensi.

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