«Ci aspettavamo qualcosa di più» è la frase che si sente ripetere più spesso, parlando con i parlamentari di Forza Italia. Hanno cominciato a dirla quando Giorgia Meloni ha stilato la lista dei ministri e poi quella dei sottosegretari. Hanno continuato a ripeterla anche ora che i primi provvedimenti del governo stanno arrivando sui banchi del parlamento, dal decreto legge anti-rave alla ben più rilevante legge di Bilancio.

L’insoddisfazione è la sensazione più diffusa tra gli azzurri e uno di loro arriva anche a descrivere il rapporto con gli alleati come quello con «un governo amico» ma di cui non si fa parte, a sottintendere che il partito di Silvio Berlusconi si sente sempre più messo ai margini del progetto di Meloni. Pochi i contatti con la premier – lo stesso Berlusconi si è lamentato nei giorni scorsi del fatto di non avere con lei il filo diretto che vorrebbe – poca considerazione anche per i propri ministri all’interno del consiglio. 

L’irritazione proviene soprattutto dai parlamentari della cosiddetta corrente ronzulliana - che fa capo al braccio destro di Berlusconi, Licia Ronzulli - e che si è autonominata cane da guardia della maggioranza. In pratica: per ogni provvedimento licenziato dal consiglio dei ministri, FI farà il controcanto chiedendone la modifica in parlamento. O «il miglioramento», come piace dire a molti di loro. Un miglioramento che si rende necessario perchè le istanze azzurre non sarebbero abbastanza ascoltate in sede governativa, mentre il parlamento il peso specifico dei voti di FI diventa determinante per il via libera o lo stop ai decreti.

Dalla finanziaria al decreto anti-rave

È così per la manovra finanziaria, su cui il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, ha detto che si può fare di più, «d’altra parte lo stesso premier Meloni ha aperto a modifiche parlamentari, nel cui ambito Forza Italia farà valere le sue proposte migliorative». Nel testo, infatti, FI ha trovato poche briciole lasciate alle proprie istanze, dall’aumento delle pensioni minime allo sgravio sui lavoratori giovani. È «una tisana», l’ha descritta il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, «Verrà il tempo di una bevanda rivitalizzante per il Paese». A dirlo ancora più chiaramente è stato il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo, che ha spiegato che «sulle pensioni ci aspettavamo qualcosa di più» e ha anticipato che FI lavorerà per aumentare gli assegni attraverso emendamenti in parlamento. Questo il clima tra gli esponenti politici di spicco nel partito, che così mandano segnali precisi agli alleati su come FI intende muoversi tra Camera e Senato. 

L’irritazione interna al partito è stata legata a due elementi formali: la mancata presenza di un ministro azzurro al tavolo della conferenza stampa di presentazione della riforma e il fatto che il testo definitivo della manovra non sia stato consegnato in anticipo. «Guardiamo avanti, ma lo abbiamo notato», conferma un deputato. Il vicepremier, Antonio Tajani, era assente perchè in missione all’estero, tuttavia nel clima attuale ogni riprova di un trattamento sfavorevole a FI diventa pretesto di irritazione nei confronti della premier Meloni.

Intanto, la guerriglia parlamentare di FI è già cominciata con il decreto legge anti-rave e la presentazione in audizione al Senato di voci molto critiche nei confronti del testo licenziato in cdm. Anche su questo testo, approvato il 31 ottobre, FI ha immediatamente opposto voci critiche e anticipato che presenterà un emendamento correttivo se non ci penserà il governo, perchè la norma che dovrebbe vietare i rave party rischia di coinvolgere una casistica molto più ampia.

Capitolo a parte riguarda la questione migratoria. FI è rimasta alla finestra dello scontro tra Meloni e l’Eliseo, ma anche della gestione del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, degli sbarchi delle ong. Dal resoconto parlamentare dello stesso ministro risulta che anche il titolare degli Esteri, Tajani, era costantemente in allerta e partecipe di alcuni passaggi nella gestione, tuttavia ha preferito evitare il risalto mediatico. Non a caso, anche su questa iniziativa del governo è arrivata la chiosa critica addirittura di Berlusconi, in una conversazione durante una cena coi suoi parlamentari e poi finita sui giornali: «Bisognava intanto salvarli tutti».

Per ora, tuttavia, la strategia di FI è quella di lanciare stoccate ma senza alzare i toni. La partita sarà lunga e piano piano tutti i dossier arriveranno in parlamento, dove i voti azzurri sono determinanti in particolare al Senato. La metafora scelta da un senatore è che «tutti i nodi verranno al pettine», anche se i meno belligeranti di palazzo Madama sono convinti di poter intervenire e correggere i decreti senza dover per forza entrare in rotta di collisione con gli alleati.

Intanto, però, la corsa è cominciata: il dl anti-rave va convertito entro il 31 dicembre e anche la finanziaria va approvata entro fine anno per evitare l’esercizio provvisorio. Per riuscirci, il parlamento deve procedere rapido e non incontrare intoppi o impuntature politiche che offrano spazi di disturbo all’opposizione. Per questo, Meloni dovrà necessariamente alzare il telefono e comporre il numero di Arcore.

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