Prima della grande «botta», ovvero il fulmine dell’ipotesi di scioglimento per mafia del comune di Bari, nel Pd il nome di Antonio Decaro era associato a concetti e numeri smisurati, e dunque un po’ allarmanti per il Nazareno: il 66 per cento di voti al primo turno dell’ultima vittoria a Bari nel 2019, e la grande popolarità politicamente trasversale accumulata in nove anni di presidenza dell’Anci, l’associazione dei comuni. Da tempo Decaro nel suo partito non è un dirigente fra gli altri.

“Scoperto” da Michele Emiliano, con cui poi i rapporti sono diventati altalenanti, suo erede a Bari ma comunque sindaco stimatissimo della rinascita della città, c’è chi lo dava in corsa alle europee, e per di più “sospettato” di prendere una barca di voti al sud, persino più di quelli della segretaria, se mai la segretaria dovesse candidarsi (ancora è incerta sul da farsi).

C’è anche chi fin qui ha dato la sua corsa per Bruxelles come un “riscaldamento” per la successione di Emiliano alla regione Puglia. E chi assicurava che aspirasse a molto oltre: a correre da segretario per un dopo-Schlein, che pure non è alle viste (ma nel Pd c’è sempre qualcuno che si prepara al dopo, e in genere fa bene).

Del resto, alle ultime primarie l’ipotesi di Decaro come sfidante di Schlein circolò parecchio nelle riunioni riservate della corrente riformista: in effetti era perfetto come leader del «partito dei sindaci». Ma c’era un problema: che «sopra il Garigliano non lo conosce nessuno», per non dire del fatto che il Pd è un partito che un suo insediamento al sud ma che non ha mai avuto un segretario nato sotto il parallelo di Roma.

Fatto sta che Decaro fece un passo indietro, Stefano Bonaccini si lanciò nelle primarie e il sindaco di Bari gli dette una grossa mano, che pure non gli bastò a vincere. Ma fu generoso: tant’è che in questi giorni “caldi”, il presidente dell’Emilia-Romagna ha già detto agli amici più stretti che starà vicino ad «Antonio» perché sa «di avere un debito con lui».

La polarizzazione

Ora però tutto il Pd, e anche la segretaria, devono fare i conti con il salto quantico mediatico di quello che è ormai diventato il sindaco antimafia nazionale, quello che riporta a sinistra la battaglia contro la criminalità di cui pure la premier Meloni si era fatta paladina con «l’operazione Caivano» e la benedizione di don Maurizio Patriciello.

Lo scoperto tentativo di sabotaggio della destra, ora dopo ora, si trasforma in «un boomerang» per i mandanti perché ha regalato a Decaro la notorietà, e cioè esattamente quell’ultimo miglio che gli mancava per avere le carte in regola per una leadership nazionale.

Nulla di cercato, in realtà: chi ci parla a quattr’occhi sa che che l’onda di emozione e di rabbia, alla conferenza stampa di due giorni fa, la minaccia di rinunciare alla scorta, era tutto vero. Come il pianto a dirotto nel suo ufficio dopo la conferenza stampa.

Ma la «polarizzazione» della sfida era quello che non avevano preso in considerazione i suoi avversari: che poi hanno capito la trappola e lo hanno accusato di «fare campagna elettorale» sulla tegola che gli è arrivata in testa.

Un paradosso: sono stati tre parlamentari del territorio a fare pressioni sul Viminale per lanciare la bomba mediatica, ovvero associare la parola «mafia» alla giunta del sindaco di Bari, a meno di tre mesi dalle elezioni comunali: il forzista Mauro D’Attis, vicepresidente della commissione Antimafia, Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, anche lui di Forza Italia, e il leghista Davide Bellomo. Ma i tre pifferi pugliesi sono finiti come quelli della montagna: andarono per suonare e invece furono suonati.

Non avevano messo in conto la solidarietà che si è scatenata, la coincidenza con la grande manifestazione a Roma del 21 marzo contro la mafia, e dunque l’abbraccio con don Ciotti al Circo Massimo davanti a tutte le telecamere nazionali, e il girotondo mediatico con Elly Schlein e Giuseppe Conte dietro al palco, con il ruvido Maurizio Landini, segretario della Cgil, che solidarizza e lo elogia: «È sotto gli occhi di tutti il lavoro eccezionale che in questi anni ha fatto sia come sindaco di Bari sia come presidente dell’Anci».

Capolista al sud

In un colpo il sindaco di Bari, primo cittadino in trincea contro i clan, è andato nei tg e sulle prime dei giornali, e per di più da vittima dell’uso strumentale delle istituzioni. Ed è tutto autentico: è vero che Decaro da vent’anni è seguito dall’agenzia di comunicazione Proforma, che ha firmato le campagne vincenti di Michele Emiliano e Nichi Vendola, ma è vero che il fondatore e direttore creativo Giovanni Sasso è amico di Decaro dai tempi in cui era assessore alla Mobilità di Bari, ed era un ingegnere digiuno di politica e «fattizzo», italianizzazione dal pugliese «fattizz», cioè concreto e abituato a parlare senza fronzoli. E stavolta i «comunicatori» hanno solo assecondato lo schema dell’uno-contro-tutti, e il moto di popolo spontaneo in difesa del sindaco.

La manifestazione di oggi a Bari, al grido “Giù le mani da Bari”, è stata formalmente convocata da Pd e Cgil regionali. Ma in realtà nasce dalle «tantissime sigle dell’associazionismo che hanno scelto di mobilitarsi per gridare a gran voce che Bari non si tocca», spiega il segretario del Pd Puglia, Domenico De Santis, che non ci ha pensato un secondo a sconvocare l’assemblea regionale del Pd che pure aveva all’ordine del giorno la delicata discussione sulle liste per le europee.

Oggi saranno con lui sul palco Michele Emiliano e Nichi Vendola. E sotto il palco Sinistra italiana, Verdi, Cgil, Libera e associazioni studentesche.

Ma in realtà la vicenda delle europee si porrà subito dopo. Non a Bari, ma a Roma. Schlein a Decaro ha espresso pubblicamente e privatamente la sua totale solidarietà. Il fatto è che presto dovrà dimostrare questa scelta.

Ed è difficile che possa candidare Decaro in altra posizione che non capolista del sud. Fin qui la segretaria stava lavorando a teste di lista donne, nel sud in pole position c’era la giornalista Lucia Annunziata. Ma dopo gli attacchi della destra, qualsiasi posizione che non sia la più importante, potrebbe sembrare minore vicinanza al sindaco. E anche paura del suo crescente consenso nazionale.

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