Alla vigilia del vertice a palazzo Chigi fra governo e opposizioni – tranne Iv – una cosa è certa: le distanze fra le due parti restano scolpite e nelle minoranze ormai tutti hanno capito che il rischio è che «l’appuntamento sia solo una trovata mediatica prima della pausa estiva»: lo dice Riccardo Magi, +Europa, ma interpreta il pensiero di tutti i convitati.

«Domani (oggi, ndr) ci andiamo a palazzo Chigi», concede il rossoverde Nicola Fratoianni, «però deve essere chiaro che se per il governo si tratta solo di recuperare una visibilità su una vicenda dove sono andati in difficoltà, non va bene».

È così, senz’altro. E per le minoranze è una trappola da cui sperare di uscire indenni. Meloni ha architettato l’evento per tentare di cambiare la “narrazione” dei media dopo settimane difficili per il governo e la maggioranza: sul no al salario minimo la destra ha dovuto addolcire le posizioni per non perdere consenso, sulle tasse alle banche la destra ha rincorso le bandiere della sinistra; e soprattutto, e peggio di tutto, c’è stata la figuraccia continentale sul caso De Angelis (persino The Guardian ha dedicato un articolo sulla vicenda).

Comunque l’incontro oggi si farà. Il tavolo della sala Verde di palazzo Chigi sarà affollatissimo. Dalla parte del governo, accanto alla premier, siederanno i due vice Matteo Salvini e Antonio Tajani, la ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone, i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.

Dalla parte opposta, la segretaria Pd Schlein con la responsabile lavoro Maria Cecilia Guerra; con il presidente M5s Giuseppe Conte ci sarà l’ex ministra del lavoro Nunzia Catalfo; con Calenda, leader di Azione, ci sarà il capogruppo alla Camera Matteo Richetti; per i rossoverdi Angelo Bonelli, Eleonora Evi, Fratoianni e il deputato Franco Mari; per +Europa ci saranno Magi e Benedetto Della Vedova.

Si marcano l’un l’altro

Stesso problema di qua e di là: dal lato del governo nessuno vuole lasciare la scena agli altri. E così dal lato dell’opposizione: tutti controvoglia, ma nessuno può permettersi di sfilarsi e fare la parte del “non-dialogante”. Ma i dubbi sono molti. Anche perché la premier ha già ribadito il suo no al salario minimo.

La proposta della minoranza è quindi già bocciata in partenza: dunque è curioso, se non inutile, il confronto “extraparlamentare” convocato alla vigilia di Ferragosto. Persino il più ottimista Calenda dubita della buona riuscita della giornata di oggi.

Si aspetta che oggi «con Meloni si discuta seriamente di un problema che tocca 3 milioni e mezzo di cittadini». Ma lui stesso, al Giornale, ha ammesso che dal confronto «c’è il 10 per cento di possibilità che esca qualcosa di positivo»: ed è quello che ci crede più di tutti.

Chi perde di più

La vera scommessa è su chi uscirà sconfitto. Anche perché entrambi gli schieramenti devono nascondere le divisioni. A sinistra, Schlein vuole che il tavolo si allarghi all’emergenza Emilia-Romagna e al caso De Angelis. Calenda non è d’accordo, e su questo spalleggerà la premier. Ma presentarsi divisi sarebbe un regalo: per la destra e per Matteo Renzi, che si è chiamato fuori dal tavolo e da fuori non vede l’ora di sfottere l’allegra brigata.

A destra le cose non vanno meglio. Il sottosegretario Claudio Durigon ha fregato sul tempo la premier lanciando un pacchetto di proposte. Ma sono della maggioranza o della Lega? Comunque il M5s le ritiene «confuse e controproducenti».

Al Tg1 Conte ammette che l’incontro «è una strada in salita», perché la premier ha anticipato il suo no al salario minimo e «ha detto anche una falsità» e cioè che il testo dell’opposizione danneggia la contrattazione collettiva, «il che dimostra che non ha letto una riga della nostra proposta». Non è quel che si dice iniziare con il piede giusto.

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