La pace politica scoppia a orologeria, giusto per non trovare a urne chiuse un paese in macerie. Un modo per scaricare sulle spalle del presidente del Consiglio, Mario Draghi, la responsabilità di intervenire sul caro-energia, nonostante i poteri limitati a sua disposizione. Matteo Salvini ha proposto di siglare un «armistizio» tra forze politiche per consentire di varare un provvedimento in grado di arginare l’emergenza, dopo che il prezzo del gas ha toccato i 340 euro a megawattora.

«Abbiamo quantificato in 30 miliardi di euro l'intervento urgente e necessario per bloccare adesso gli aumenti delle bollette», ha detto il leader della Lega. Un parziale ripensamento, quindi: appena pochi giorni fa aveva bocciato la proposta di Carlo Calenda, che aveva pensato addirittura di «fermare la campagna elettorale».

Tanto che il fondatore di Azione lo ha punzecchiato: «Dopo quattro giorni di insulti, c’è arrivato», apprezzando comunque il sostegno all’iniziativa e rilanciando il «time out» con conseguente appello agli altri leader, da Giorgia Meloni a Silvio Berlusconi. Salvini, sul punto, ha dato per scontato che i suoi alleati di centrodestra siano d’accordo. Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha fatto sentire la sua voce, promettendo il «sostegno» a iniziative «tempestive del governo», così come dal Movimento 5 stelle è filtrata la conferma di Giuseppe Conte sulla disponibilità al «confronto con altre forze politiche».

Guerra e pace

Il dibattito, tuttavia, palesa un singolare cortocircuito: il centrodestra ha spinto Draghi alle dimissioni, dopo la rottura palesata dal M5s, e ora con Salvini chiede un intervento straordinario. Palazzo Chigi ha fatto sapere, per via informale, che sul tema prevale la cautela. Secondo quanto si apprende, i tempi sono giudicati «prematuri» per un intervento «già in settimana». Domani, comunque, sarà fatto un punto della situazione per comprendere l’eventuale portata di un decreto. Un paletto è stato fissato dalla presidenza del Consiglio: non ci sarà alcuno scostamento di bilancio.

Draghi aveva manifestato la propria contrarietà quando era nella pienezza delle funzioni, men che meno è disposto a metterlo in atto ora che si trova alla guida di un governo dimissionario. L’intervento può essere circoscritto alle risorse reperite e difficilmente sono i 30 miliardi di euro vagheggiati dal Salvini.

E se da un lato c’è un passo verso una tregua politica, il fronte energetico genera tensioni. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha rilanciato le accuse di filoputinismo della Lega, proprio in merito alla battaglia sul tetto massimo per il prezzo del gas in Europa: «Ci stiamo battendo per tutelare imprese e famiglie italiane, invece Salvini si oppone perché preferisce finanziare Putin».

Agenda Orbán per le donne

I rapporti internazionali dei partiti sono entrati di forza nella campagna elettorale. Compresa quella che è a tutti gli effetti l’agenda Orbán sulla ruolo delle donne nella società. E nel dettaglio sulla presenza femminile nelle università.

È stato reso noto in tal senso un significativo dossier, predisposto da un organismo del parlamento di Budapest, vicino al leader ungherese. Nel documento viene denunciato, con preoccupazione, il rischio di un’eccessiva istruzione delle donne, partendo da un dato: saranno maggioranza, con il 54 per cento delle iscritte, il prossimo anno universitario. «Il fenomeno, chiamato “educazione rosa”, ha numerose conseguenze economiche e sociali», si legge nel testo diffuso dalla stampa internazionale nel fine settimana.

Tra questi presunti pericoli ci sarebbe l’indebolimento delle famiglie e quindi un problema demografico per il paese. Dunque, nell’agenda Orbán l’emancipazione femminile determinerebbe una riduzione della propensione ad avere figli. Scontrandosi con una delle ossessioni del premier. La questione si è irradiata in Italia in poche ore, vista la vicinanza politica di Meloni e Salvini con il primo ministro ungherese.

Solo pochi giorni fa, peraltro, era giunto l’endorsement di Salvini al «modello Ungheria» proprio sulle politiche sulla famiglia, parlando della «legge più avanzata per la famiglia». Dal Partito democratico la deputata uscente e candidata alla camera, Chiara Gribaudo, ha messo il dito nella piaga: «Orbán, amico di Meloni e Salvini, è preoccupato perché le donne studiano “troppo” mettendo a rischio la natalità». E quindi ha chiesto: «È questo il loro progetto per l’Italia?».

Mentre la capogruppo dem al Senato, Simona Malpezzi, ha puntato l’attenzione sulla strategia da perseguire: «La denatalità non si combatte così, ma costruendo una società fatta a misura di donne e uomini». Senza osteggiare la formazione delle donne, come prescritto dall’agenda Orbán.

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