Dallo scorso 9 agosto, e verosimilmente ancora per un po’, la scenografica piazza Paolo VI di Brescia, sulla quale si affacciano ben due “duomi” e il palazzo della provincia, è sede di un presidio permanente di associazioni ambientaliste e attivisti di durata e dimensioni tali da avere stupito gli stessi organizzatori. L’obbiettivo è sventare il megaprogetto che prevede la realizzazione di due depuratori finalizzati, per un costo stimato di oltre 200 milioni di euro pubblici, a risolvere l’annosa questione della depurazione del lago di Garda, perla del nord Italia conosciuto per la sua bellezza ben oltre i confini nazionali.

Ecco in breve la vicenda che dura da ormai qualche tempo e ha coinvolto e coinvolge la ministra Mariastella Gelmini in quanto presidente della Comunità del Garda.

Da quarant’anni il sistema di depurazione dei comuni del lago è formato da una condotta sub-lacuale (lunga 7 chilometri) che porta i reflui dei comuni bresciani del lago di Garda sulla sponda veronese fino al depuratore di Peschiera che poi scarica le acque trattate direttamente nel fiume Mincio. Questo impianto funziona bene e, contrariamente a ciò che viene detto dai sostenitori dei due nuovi depuratori, non c’è alcuna emergenza ambientale in atto, dato che i tubi sono in buone condizioni e costruiti in modo da durare almeno fino al 2035, come certificato da Acque bresciane.

Il problema vero è che all’enorme opera di edificazione che ha interessato la sponda bresciana del lago nel corso degli ultimi decenni (secondo Legambiente solo dal 2007 al 2012 sono stati edificati 223 ettari pari a 318 campi di calcio e nei piani urbanistici più recenti si prevede di edificare altri 277 ettari) non ha corrisposto alcuna attenzione da parte dei comuni del lago all’adeguamento delle reti fognarie, nonostante le notevoli disponibilità economiche tratte dalle colate di cemento che hanno permesso nel corso degli anni sui loro territori.

Lontano, lontano

In questo contesto, la priorità di Mariastella Gelmini e i suoi amici è fare arrivare tanti soldi nel bacino elettorale di riferimento e portare invece le acque reflue il più lontano possibile dal lago. Questa è l’origine della proposta, per la quale si sono trovati nel corso del tempo ben 160 milioni di euro solo per la parte bresciana, di costruire due nuovi depuratori nei comuni di Gavardo e Montichiari, passando attraverso chilometri di condotte interrate e prevedendo lo scavallamento di una collina spartiacque con dislivelli di 180 metri, il tutto per una spesa preventivata vicina ai 200 milioni di euro.

La conseguenza sarebbe di portare le acque reflue dal bacino idrografico del Garda al bacino idrografico del Chiese, senza alcuna considerazione del fatto che, contrariamente al Mincio, il Chiese è un fiume a carattere torrentizio e in alcuni momenti dell’anno, soprattutto in estate quando la popolazione sul lago di Garda aumenta notevolmente, risulta in secca. Ovviamente esistono proposte alternative. Studi e perizie hanno dimostrato che si può spendere molto di meno e avere un impatto minimo sul territorio a partire dalla semplice sostituzione delle vecchie condotte e che non c’è una reale urgenza di agire, come provato anche dal fatto che non c’è nessun comune gardesano tra i 60 della provincia di Brescia in posizione irregolare rispetto alle norme europee sulla depurazione (irregolarità diffusa che ci è già costata ben 160 milioni di euro in multe dal 2017 a oggi). Comuni che avrebbero bisogno, loro sì, di impianti e risorse, ma che non hanno “santi in paradiso”.

La mozione approvata

Arriviamo cosi al novembre del 2020. La provincia di Brescia, organismo competente sulla questione, approva a larga maggioranza e dopo una notevole mobilitazione, una mozione che sancisce un concetto ovvio: «Gli impianti consortili di depurazione siano localizzati nelle aree territoriali dei comuni afferenti all’impianto stesso», aggiungendo per i progetti in itinere che «il proponente dovrà entro 6 mesi individuare nuovi scenari di localizzazione sulla base dell’indirizzo strategico».

Che fa la neo ministra appena arrivata al governo? Con la complicità del collega ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che contrariamente al suo predecessore Sergio Costa già ministro dell’Ambiente non si fa scrupoli nell’intervenire su una faccenda di non sua stretta competenza, attiva il meccanismo della nomina di un commissario, individuato nella persona del prefetto di Brescia Attilio Visconti, per cancellare la decisione della provincia e mettere il turbo al progetto dei due depuratori.

Al di là del tema puramente ambientale e di spesa pubblica, è bene fermarci un momento a considerare questa decisione: nella lettera nella quale si richiede la nomina del commissario e che è firmata tra gli altri dalla Comunità del Garda presieduta dalla stessa ministra Gelmini, si dice chiaramente che le istituzioni locali non sono in grado di prendere decisioni obiettive e scevre da «considerazioni politiche» e quindi è necessario superarle. Insomma si nomina un commissario perché non piacciono le decisioni prese dagli organi democratici preposti a decidere. Mi pare un precedente molto grave che in tempi di entusiasmo crescente per la scorciatoia offerta dalla nomina di commissari per tutto o quasi, ci espone a rischi veramente importanti di scelte costose, dannose e inefficienti, soprattutto se il parlamento continuerà ad approvarli accontentandosi – come successo per il commissario per il lago di Garda – solo di segnalare incoerenze e criticità di nessun valore pratico.

E infatti, con uno zelo degno di miglior causa, il neo commissario appena nominato annunciava, già prima di convocare una finta consultazione a luglio, di avere deciso a favore della soluzione dei due depuratori.

Come ben spiega Marino Ruzzanenti di Basta veleni nell’esaustivo documento che ricostruisce la vicenda pubblicato il 18 agosto, si tratta della difesa di un “nimby” negativo che nasce dalla indisponibilità dei comuni del Garda di farsi carico della depurazione delle loro acque e si fa forza della garanzia di una “protezione” che appare abusiva a livello governativo.

Ora il prefetto, dopo avere prospettato la necessità di sgomberare il presidio per problemi di «decoro», dovrà decidere come affrontare l’opposizione crescente sul merito e sul metodo della vicenda, che come già sottolineato non ha un valore solo locale. La soluzione migliore sarebbe quella di tornare all’approccio strategico approvato dalla provincia e usare parte del denaro stanziato per affrontare in modo complessivo e non con la solita mega opera il tema importante della depurazione e trattamento delle acque reflue del lago di Garda responsabilizzando i comuni. Per convincerlo, sarà però necessario continuare la mobilitazione ma anche portare all’attenzione dell’opinione pubblica al di là dei confini della provincia di Brescia la gravità dello scippo di democrazia e il rischio grave di spreco di preziose risorse pubbliche in atto.

 

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