Il nuovo libro Lady Rousseau di Enrica Sabatini (Piemme), socia di Rousseau insieme al suo compagno Davide Casaleggio, racconta la “verità” della pasionaria della piattaforma inventata da Gianroberto Casaleggio sugli scontri con i vertici politici dei Cinque stelle. Gli screzi hanno portato al divorzio con la piattaforma, fino a qualche mese fa indivisibile dal Movimento 5 stelle. 

“Lady Rousseau” dà la sua versione su come il Movimento si è allontanato progressivamente dai presupposti con cui era nato nelle menti di Beppe Grillo e Casaleggio. Le vittime della storia  sono lei e gli altri soci di Rousseau, oltre a Casaleggio, Pietro Dettori, che ha sempre curato i rapporti con Luigi Di Maio, e Max Bugani, consigliere comunale a Bologna e capo dello staff di Virginia Raggi quando era sindaca. 

I Casaleggio

Gianroberto prima e Davide poi hanno segnato il percorso nel Movimento di Sabatini. Fin dalle prime pagine viene ribadito più volte quanto l’idea di Casaleggio senior abbia cambiato la vita di Sabatini: «Quando la notizia della scomparsa di Gianroberto irruppe nelle nostre vite, ci sentivamo così: cittadini chiamati a svolgere la nostra piccola, ma importante, missione per cambiare quello che ritenevamo ingiusto».

Lady Rousseau racconta come, dopo qualche anno da consigliera comunale in Abruzzo, insieme a Nicola Morra («che mi sorride, mentre la metro gialla sfreccia a tutta velocità») aveva proposto a Davide Casaleggio la riorganizzazione di Rousseau per condividere le esperienze di ciascun portavoce.

Davide è anche il principale protagonista degli scontri, negli ultimi mesi sempre più frequenti, con i vertici del Movimento. Sabatini racconta quello con il capo politico reggente Vito Crimi, che aveva proposto di far votare agli iscritti un quesito per estromettere Rousseau dalla vita del Movimento.

Ma Casaleggio e la sua socia si sono scontrati anche con Di Maio quando si è trattato di tagliare definitivamente i ponti con il Movimento. Casaleggio e Sabatini sono presentati come custodi della missione originaria del M5s, mentre i politici romani lottano solo per i propri interessi: ricorre più volte la questione sull’abolizione del vincolo dei due mandati, tasto dolente soprattutto per Di Maio e i suoi. 

Giuseppe Conte

Al nuovo leader politico del Movimento, Sabatini non riserva parole gentili. Gli rinfaccia di essersi appropriato di un’associazione non sua a di aver ridotto, con il suo atteggiamento da «temporeggiatore seriale»,  un sogno visionario in un partito come tutti gli altri.

Lady Rousseau rimprovera a Giuseppe Conte di non aver studiato la struttura del Movimento e di Rousseau né di averla voluta conoscere quando i due soci glielo avevano proposto.

I due nutrivano sospetti nei confronti dell’ex premier fin da quando la sua popolarità era diventata la ragione per disattendere le indicazioni degli Stati generali, che avevano chiesto una guida collegiale per il Movimento.

La disistima si era aggravata con la fine del governo Conte II e la ricerca disperata di numeri per il Conte III e li aveva portati a disertare la riunione all’hotel Forum di fine gennaio in cui i vertici avevano chiesto a Conte di diventare capo unico del M5s.

L’ultimo atto arriva quando Conte in riunione chiede: «A che titolo parla la dottoressa Sabatini?». Attacco imperdonabile. 

Luigi Di Maio

Per Sabatini, Di Maio è il traditore. Di lui scrive che nei primi anni nei palazzi aveva rappresentato al meglio i grillini, ma che poi era entrato a pieno titolo nella campagna dei vertici Cinque stelle contro Rousseau. Una presa di posizione che Sabatini non gli ha mai perdonato.

Il ministro degli Esteri appare come un ingrato che non ha più rispetto di chi gli ha dato quel che ha oggi e come uno dei protagonisti dello smantellamento del Movimento delle origini.

In uno degli episodi Sabatini racconta di aver subodorato che nella creazione del team del futuro, che avrebbe dovuto sostituire Di Maio dopo le sue dimissioni e rispondeva in parte alla stessa Lady Rousseau, c’erano già i presupposti per far diventare la piattaforma il capro espiatorio di tutti i problemi dei Cinque stelle. 

«Quello che però non avevo compreso era che tra le persone che questo meccanismo (l’accentuazione della controversia, ndr) lo avrebbero sostenuto ci sarebbe stato anche chi avevo lasciato alle mie spalle uscendo da quella saletta quel giorno: Luigi Di Maio». 

Beppe Grillo

Il fondatore del Movimento appare solo marginalmente, ma sempre sotto una luce positiva. Sabatini enfatizza questa rappresentazione raccontando episodi in cui Grillo appare con un’aura paterna e bonacciona.

Come quando lui e i soci di Rousseau giocano insieme a calcio balilla vicino a Ivrea nel 2018, occasione in cui «si aggiusta i capelli con quel gesto tipico con cui scuote la sua chioma caratteristica». Lady Rousseau passa poi a celebrare «la sua potenza comunicativa» che «è pari alla sua conoscenza dei media». 

Sabatini è più pragmaticamente entusiasta di Grillo quando stralcia il quesito di Crimi sull’estromissione di Rousseau dalla vita del Movimento o quando nell’ultimo scontro tra Rousseau e M5s interviene per far saldare almeno una parte dei debiti che i Cinque stelle hanno nei confronti della piattaforma. «L’intervento di Beppe Grillo fu determinante, ma non risolutivo, nonostante le roboanti dichiarazioni di Giuseppe Conte».

Alessandro Di Battista

Se Di Maio ha tradito l’impostazione originaria del Movimento e Conte è un usurpatore, Alessandro Di Battista è il leader che Il M5s avrebbe meritato. Puro di sentimenti e appassionato, Sabatini fa di lui il protagonista di uno dei capitoli centrali del libro.

A metà 2020, racconta, una tesa conversazione con Casaleggio la mette a parte del fatto che i vertici del Movimento si sono messi d’accordo per non votare il successore di Di Maio come capo politico per paura che possa vincere proprio Di Battista, considerato un ostacolo sulla strada di Conte.

Lady Rousseau condivide anche la decisione dell’ex parlamentare di lasciare i Cinque stelle dopo l’adesione al governo Draghi, unica mossa possibile per quello che secondo Sabatini era diventato «un obiettivo da eliminare» per il Movimento. 

Vito Crimi

Secondo Sabatini, il capo politico reggente Vito Crimi ha contribuito come ha potuto a mettere il Movimento sulla via della trasformazione in partito e da responsabile di quesiti e votazioni ha anche avuto un ruolo nel progressivo allontanamento di M5s e piattaforma, approfittando della «nostra buona fede».

Secondo lady Rousseau, ha ignorato la volontà degli iscritti, forzato la mano rispetto alle decisioni dei tribunali sul destino del M5s ed è stato responsabile di una delle peggiori performance elettorali del Movimento nel voto del 2020.

Ma la sua colpa più grave, per Sabatini, è quella di non aver mai definito il rapporto tra il Movimento e Rousseau: un vuoto che poi è costato alla piattaforma la possibilità di far valere le proprie ragioni in maniera più efficace sulla base di accordi scritti. 

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