Professore Massimo Villone, al senato sono stati depositati gli emendamenti alla ddl Calderoli: anche Fdi chiede si assicurare «la coesione nazionale». Giuliano Amato e altri costituzionalisti hanno lasciato la commissione per la definizione dei Livelli essenziali di prestazioni. Iniziamo da qui: «Dimissioni tardive», ha scritto lei. Perché?

Perché in quella commissione non avrebbero dovuto entrare. Era una copertura. Il ministro Calderoli è uomo abile, da non sottovalutare. In quella commissione ha chiamato pezzi della storia della Repubblica e del centrosinistra, non persone pescate in qualche dipartimento universitario. È stata una loro illusione pensare di riuscire a mettere la mano sul volante.

Altri, come Luciano Violante, se ne sono andati prima e in silenzio.

Una scelta personale. Ma nessuno si è trovato in quella compagnia a sua insaputa.

Fuggono dal carro del vincitore perché fiutano il fallimento?

Non credo. Sono studiosi di razza, forse erano convinti di incidere. Poi invece hanno capito che erano chiamati a fare le belle statuine. Basta vedere il percorso costruito da Calderoli: la commissione è solo una finta copertura tecnica, gli interlocutori veri sono i presidenti delle regioni. La Lega vuole spaccare l’Italia per spedirne poi i pezzi sul tavolo dei governatori e degli assessori regionali. Calderoli ha un disegno, messo nero su bianco nell’atto senato 615: emarginare il parlamento, spostare l’asse istituzionale del paese verso il ceto politico regionale, indebolire radicalmente il livello istituzionale nazionale. Dopodiché la Repubblica per come l’abbiamo conosciuta andrà in soffitta.

Fdi chiede di assicurare «l’unità nazionale». Come si concilia l’autonomia con l’elezione diretta del premier?

Non si concilia. È la contraddizione e forse anche l’errore di Giorgia Meloni. Il ddl indebolisce di più proprio il primo ministro che lei vuole rafforzare. Un primo ministro è forte non perché può prendere a ceffoni il parlamento ma perché dispone degli strumenti finanziari e legislativi necessari per le politiche pubbliche nazionali. Senza, il premier puoi chiamarlo anche San Gennaro, ma miracoli non ne fa.

Ora il ddl è al senato. Gli addii rallentano la corsa del testo?

Certamente hanno dato visibilità al problema. L’autonomia differenziata è un tema difficile da spiegare. E c’è un pezzo d’Italia che la vuole: i governatori del nord la pretendono. Pensare di fermarli con i seminarietti è un’illusione. Serve una sede appropriata, il parlamento, in cui discutere quale Italia vogliamo. Non si tratta di spostare qualche funzione marginale da un ministero a un assessorato. Noi abbiamo raccolto oltre 100mila firme su una legge costituzionale di iniziativa popolare proprio per avviare un impegno di più vasta portata, che non fosse solo quello degli studiosi, degli esperti. Poi in Italia la qualifica di esperto è una “doc”: qualche volta funziona, altre no.

Se il ddl passerà anche al senato, sperate nella non promulgazione da parte del capo dello stato?

Mattarella non va tirato per la giacca. Potrebbe, in astratto, rifiutare la promulgazione del testo una volta approvato. Ma il capo di stato non ha potere di veto. Secondo l’art. 74 della Costituzione, il suo rifiuto può esser superato. In termini di moral suasion ha richiamato molte volte la solidarietà e la coesione del paese. Non so se ha fatto pervenire sue perplessità in via riservata. In ogni caso, questa battaglia si combatte nelle piazze e nelle aule parlamentari.

I rilievi degli “emeriti” sono severi: ddl incostituzionale, problema dei costi, rottura fra nord e sud.

Le stesse cose che hanno detto Bankitalia, l’ufficio parlamentare di bilancio, la Svimez e altri nelle audizioni. La domanda è: ci sono le risorse? Se no, chi paga? Nessuno della maggioranza, e questo colpisce, risponde alla domanda se questa autonomia ce la possiamo permettere. La legge non stanzia un euro. Sono temi già emersi nelle audizioni nelle commissioni parlamentari, e ora riproposti.

Il presidente della commissione Sabino Cassese è un costituzionalista di lungo corso. Dopo i rilievi dei colleghi potrebbe avere dubbi se prestare il suo nome a questa operazione?

Conoscendolo, mi sembra difficile. Calderoli è il regista dell’autonomia, lui è l’aiuto regista.

Anche la riforma costituzionale del premierato è in affanno?

Quella riforma è in affanno perché l’autonomia la svuoterebbe. E il ddl Calderoli sta camminando.

Al senato Fdi ha presentato emendamenti “pesanti”. Il governo è in difficoltà. E Meloni crede in un complotto dei pm.

Meloni sconta il fatto che ha intorno a sé un gruppo dirigente che non è all’altezza. Cerca di tenersi fuori dalle vicende interne, e fa la rappresentante dell’Italia all’estero. Ma farebbe bene a occuparsi più di casa sua. Quanto ai magistrati: qui abbiamo giustizialisti che diventano garantisti e viceversa. Propongo l’istituzione di due ordini, quello dei garantisti e quello dei giustizialisti, con iscrizione obbligatoria. Così poi chi cambia idea almeno viene cacciato. Fuori dalle battute: non escludo che ci sia qualche pm a cui ogni tanto prude il naso, ma che questo accada “alla magistratura” fa ridere.

Con l’assedio dei casi Santanché, Delmastro, La Russa, il governo reggerà?

Il feeling del paese è con Meloni più che con la destra di governo. Bisogna capire se lei ha la capacità e la forza di riprendere pienamente le redini dell’esecutivo. Se lo fa, può durare. Se no, può solo contare sul fatto che le opposizioni non riescono a metterla in difficoltà. Finora le maggiori insidie le vengono dall’interno del governo e del suo partito.

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