Più che Zelensky ha potuto Draghi. Ad alzare il ritmo del dibattito tra i parlamentari dopo l’intervento del presidente ucraino alla Camera è stato paradossalmente più il discorso del presidente del Consiglio che quello di Zelensky. Le parole del capo di stato ucraino hanno ricevuto consenso pressoché universale da chi era in aula, visto che chi era critico aveva già annunciato con largo anticipo di non voler partecipare. Soprattutto la Lega ha voluto sottolineare per bocca di Matteo Salvini che il gruppo era presente in maniera «compatta».

I leghisti hanno semmai accolto con distacco alcuni passaggi: «Il fatto che abbia usato parole come “nemico” per identificare Vladimir Putin di certo non contribuisce a disinnescare il conflitto. Noi cerchiamo la pace», ha detto un deputato lombardo dopo l’intervento.

Ma mentre Zelensky ha proposto una versione più moderata dell’appello che ha rivolto anche ad altri parlamenti, sono stati due i passaggi del discorso di Mario Draghi che hanno fatto sobbalzare soprattutto i parlamentari di Lega e Cinque stelle: la richiesta di favorire l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e l’eventuale fornitura di nuove armi.

L’Unione europea

«Nelle scorse settimane è stato sottolineato come il processo di ingresso nell’Unione europea sia lungo, fatto di riforme necessarie a garantire un’integrazione funzionante», ha detto Draghi. «Voglio dire al presidente Zelensky che l’Italia è al fianco dell’Ucraina in questo processo. L’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea».

Anche se la strada è lunga, l’obiettivo è condiviso e Draghi farà tutto il possibile per spianare la strada a Zelensky. I leghisti non hanno esitato a replicare a quella che considerano l’ennesima esondazione del premier rispetto agli argini di un governo di unità nazionale: «Queste sono cose che decide il parlamento, ci dispiace per Draghi» ha detto un parlamentare leghista.

Anche Carlo Calenda è critico: «Il continuo allargamento pregiudica la possibilità di costruire un’Unione europea più integrata e ha aumentato il rischio di conflitto diretto con la Russia» ha scritto su Twitter.

Il Pd ha tentato di spegnere almeno questa polemica. «Le parole di Draghi forse sono state travisate perché il percorso per l’ammissione nell’Ue non è nella disponibilità di un singolo governo o stato. È una procedura che prevede il raggiungimento oggettivo di standard ben precisi», ha detto il deputato Alberto Pagani. «Draghi ha detto che siamo a fianco dell’Ucraina, che la sosteniamo in questo percorso. Mi parrebbe davvero irragionevole dire il contrario, perché tutti capiamo la drammaticità della situazione e siamo a fianco del popolo ucraino».

La questione dell’adesione all’Ue ha toccato poco Fratelli d’Italia, che invece ha apprezzato il ringraziamento di Draghi al «principale partito di opposizione» (nonché unico presente, considerato che Alternativa ha deciso di boicottare l’«operazione di marketing» di Zelensky). Sottolineando la presenza compatta in aula, da FdI hanno fatto sapere che la proposta di spingere per l’adesione all’Ue dell’Ucraina è «da valutare, anche se molto difficile».

Le armi

L’altro passaggio divisivo del discorso del presidente del Consiglio è stato quello sulle armi da destinare alla resistenza ucraina. Il decreto legge che ne autorizza l’invio deve ancora essere convertito al Senato e la strada si preannuncia in salita: da più lati, soprattutto per bocca di esponenti di Lega e Cinque stelle, i parlamentari chiedono un maggiore approfondimento del testo.

Draghi non si è fatto influenzare dai dubbi della sua coalizione. «A chi scappa dalla guerra, dobbiamo offrire accoglienza. Di fronte ai massacri, dobbiamo rispondere con gli aiuti, anche militari, alla resistenza» ha detto il presidente, assicurando che «siamo pronti a fare ancora di più».

La frase non è passata inosservata sia agli esponenti del Movimento sia a quelli della Lega. A parlare per il Carroccio è stato Salvini. Lasciando Montecitorio, ha spiegato che «quando si parla di armi non riesco a essere felice. Chiedo che la diplomazia riprenda il suo spazio. Speriamo che questa giornata porti consiglio a tutti: le armi non sono la soluzione».

La Lega è scettica sulla possibilità di inviare altre armi: «Siamo con l’aggredito, ma all’interno di questa posizione qualche titubanza sull’opportunità di dare ulteriore carburante a un conflitto c’è. Siamo coscienti che senza il nostro aiuto Kiev soccomberebbe, ma continuiamo a pensare che sia più utile la via diplomatica rispetto a quella delle armi» ha detto un deputato. Il senatore Alberto Bagnai è ancora più polemico: «Offriamo delle armi che non ci sono mai state chieste» ha scritto su Twitter.

Anche i Cinque stelle su questo punto hanno tentato di smarcarsi: è complicato trovare un punto di caduta che possa tenere insieme le parole di Draghi e la linea del presidente del Movimento.

Giusto lunedì sera Giuseppe Conte aveva infatti confidato ai suoi di non essere d’accordo con l’aumento dell’investimento nel settore della difesa per arrivare al 2 per cento del Pil previsto dagli accordi Nato. Un obiettivo previsto pure da un ordine del giorno al Dl Ucraina approvato alla Camera anche da una parte del Movimento. «Un brutto segnale per i cittadini» che secondo Conte è sintomo per gli elettori di disinteresse per i temi che li toccano più da vicino, come il carobollette.

Offrirsi all’elettorato pacifista come punto di riferimento è un tentativo di strizzare l’occhio alle priorità Cinque stelle del passato, nella speranza di tornare a mostrarsi puri e battaglieri. Se il discorso di Draghi in tempi di guerra sia lo spunto giusto per smarcarsi dalla maggioranza resta però da vedere.

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