Tenetevi comodi: i prossimi mesi vedranno tornare sulla scena il Matteo Salvini vecchia maniera, tutto propaganda e promesse. Il leader della Lega è stato scatenato nelle ultime ore, il pensiero è condiviso nelle chiacchierate a microfoni spenti da deputati di diversa estrazione, di destra, di centro, di sinistra. L’iperattività salviniana è solo un assaggio dell’assalto che sta preparando. Prima ha ribattezzato «codice Salvini», il codice appalti entrato in vigore il 1° luglio. Poi, nella giornata di ieri, ha già si è intestato, per interposta persona, un’altra battaglia: «Stiamo lavorando con il ministero dell’Economia (il leghista Giancarlo Giorgetti, ndr) per allungare le rate di chi ha un mutuo a tasso variabile», in modo «da non far aumentare la rata mensile».

Altro arriverà, a cominciare da un evergreen: la richiesta di eliminare il canone Rai. E quindi un crescendo di flat tax e voce grossa sull’autonomia, che alla chetichella va avanti in commissione al Senato. La data cerchiata in rosso è il 9 giugno 2024, giorno delle elezioni europee: la Lega deve tornare sopra la doppia cifra. Queste sono le intenzioni del segretario federale. Il passaggio elettorale deve confermare la sua capacità di essere un leader popolare. Magari avvicinandosi a Fratelli d’Italia nelle roccaforti del nord. E pazienza se al centro-sud non ci sarà partita.

Destre unite d’Europa

A Salvini serve spingere il piede sull’acceleratore per convincere tutte le destre d’Europa a unirsi contro il nemico socialista, nella riedizione corretta – in salsa europea – del campo largo di cui tanto si è dibattuto a sinistra alle ultime politiche.

«Siccome sono entusiasta di quello che sta facendo il governo italiano, mi piacerebbe che anche in Europa ci fosse la stessa formula», ha ripetuto. «Quindi – ha rilanciato – senza escludere a priori nessuno, senza dire di no a nessuno. Altrimenti ci sarà l'ennesima maggioranza con la sinistra, con i socialisti, con Macron». Nient’altro che il messaggio già fatto recapitare all’alleato Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, dai big leghisti in Europa, Marco Zanni e Marco Campomenosi.

Tra i forzisti c’è chi prova a fare da pontiere, come l’ex capogruppo a Montecitorio, Alessandro Cattaneo: «Una vera distinzione per la futura maggioranza di governo europea sarà tra chi ha cultura di governo e chi no. Mi viene da sorridere quando sento che la Lega e Salvini non sarebbero adatti a governare in Europa» dopo che «hanno governato con Draghi e ora con il centrodestra dopo la vittoria delle politiche».

La Lega va bene, insomma. Solo che la parte sottintesa del ragionamento di Cattaneo, peraltro già esplicitato da Tajani, è che devono restare fuori le altre forze dell’estrema destra, i francesi del Rassemblement national di Marine Le Pen e i tedeschi dell’Afd. Non proprio l’eden per Salvini: si troverebbe in mezzo al guado, accettato in Europa sì, ma isolato dalla sua famiglia europea.

L’unica opzione per il vicepremier è quella dell’imposizione numerica: rendersi indispensabile nei futuri assetti dell’Ue, portando in dote una sostanziosa quota di eletti. Servono i voti perché, come ha spiegato punzecchiando gli alleati forzisti, «a Tajani risponderanno gli elettori». La Lega può essere l’ago della bilancia per aumentare il peso della sua area politica, Identità e democrazia, nell’Europarlamento. Le proiezioni dell’assegnazione dei seggi, basate sui sondaggi più affidabili, non sono un inno all’ottimismo per il gruppo.

Nel 2019 aveva conquistato 73 seggi proprio grazie all’eccezionale risultato leghista, che aveva preso il 34,3 per cento con un totale di 28 seggi. Attualmente sono 62 gli europarlamentari iscritti a Id. E stando alle stime del sito Europe elects, potrebbero arrivare a 69. Ma comunque meno in confronto a quelli conquistati quattro anni fa. E la “colpa” è proprio dei leghisti. Rassemblement national e Afd garantiranno un buon bottino di eletti, me per evitare di rimanere irrilevanti (come peraltro è accaduto in questa legislatura) serve qualcosa in più. Soprattutto da parte dei leghisti che oggi sono lontanissimi dai fasti del passato.

Tutte le inaugurazioni

Salvini, insomma, si sta giocando la partita della vita. Anche perché, se le elezioni europee non dovessero andare bene, la sua debolezza sarebbe un problema anche in Italia dove potrebbe finalmente aprirsi la lotta per la successione. Anche se al momento i suoi principali sfidanti, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, non sembrano avere alcuna intenzioni di prendere in mano la guida del partito.

In ogni caso il ministro delle Infrastrutture non vuole sorprese. Da qui la necessità di avviare una lunga, forse troppo lunga, campagna elettorale. Tanto «questo governo – ha detto – vuole durare 10 anni se i cittadini lo vorranno». E qualcuno fa comunque gli scongiuri: l’ultima volta che Salvini si lanciava in proclami simili, Giuseppe Conte iniziava a vacillare a palazzo Chigi. Erano i tempi dell’esecutivo gialloverde e del Papeete. Ma erano, per l’appunto, altri tempi. Nessuno pensa che Salvini voglia far cadere l’esecutivo prima del voto del 2024.

Per aumentare i consensi il vicepremier conosce un solo modo: parlare agli elettori e tornare a fare bagni di folla. E rilanciare la macchina social. Al posto del Viminale, la leva usata per la propaganda ai tempi del primo governo Conte, Salvini ha oggi a disposizione il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Un volano di comunicazione per la sua narrazione tutta tesa a descrivere «l’Italia dei sì».

Quindi eccolo presenziare alle inaugurazioni di nuove strade, ponti e chi più ne ha più ne metta. Ieri ha partecipato all’inaugurazione della tratta della metropolitana M4, a Milano, tra Linate e San Babila. «Un collegamento – sostenibile – atteso da anni che permetterà di unire l’aeroporto con la città», ha commentato il ministro. E dai prossimi giorni è pronto a chiedere un cambio di marcia sull'approvazione del nuovo codice della strada. Una legge dal sapore elettorale da sventolare «da padre di famiglia», come ama dire.

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