Lo scontro interno tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo ha acceso i riflettori sul movimento, sulla sua identità e sul blocco sociale composito che lo sostiene. Il quadro è complesso e le dinamiche non si chiariranno velocemente.

Può essere interessante analizzare e scomporre l’universo del blocco sociale che sostiene e vota per i pentastellati, scandagliando alcune pulsioni di fondo e il coacervo di identità politiche che è confluito, nel tempo, in questo contenitore politico. I dati che prendiamo a base non sono di questi giorni, ma di soli pochi mesi fa (e assolutamente ancora validi), di marzo 2021 quando Conte non era già più al governo e Draghi si era insediato col sostegno (e qualche mal di pancia) dei Cinque stelle.

Un primo fronte di disamina utile per comprendere la composizione del blocco elettorale pentastellato è quello che focalizza l’attenzione sulle pulsioni sociali che aleggiano in questo agglomerato politico. Il 38 per cento dei votanti M5s ritiene necessario, per il nostro paese, un maggior livello di giustizia sociale. Il 36 per cento, invece, è maggiormente sensibile a politiche che mettono gli italiani davanti a tutto. Infine, il 26 per cento avverte l’esigenza di posizioni e di una strategia politica maggiormente moderata.

Il quadro analitico-programmatico è arricchito da ulteriori spinte, come quella rappresentata dal bisogno di maggiore coesione e minori scontri o beghe politiche (60 per cento dei pentastellati), oppure come la necessità di sviluppare nuove politiche volte a redistribuire maggiormente la ricchezza (32 per cento), o, ancora, l’esigenza di aumentare i livelli delle garanzie e delle tutele per i lavoratori (33 per cento).

Se da un lato, il 60 per cento degli elettori M5s auspica un paese con più solidarietà, dall’altro, la quota di Cinque stelle favorevole a migliorare le forme di integrazione degli immigrati è stagnante al 4 per cento. Nell’universo pentastellato il decisionismo e un capo che prende tutte le risoluzioni piace a pochi (fermandosi all’8 per cento), mentre fanno proseliti il bisogno di incrementare i tassi di meritocrazia presenti nel paese, l’investire sull’ambiente, le strategie volte ad alimentare e sostenere il potere di acquisto delle famiglie, le scelte indirizzate a ridurre il potere di banche e mondo della finanza, nonché il sostegno a nuove forme di economia con alti tassi cooperativi. La costellazione pentastellata è un agglomerato politico eterogeneo e multiforme anche dal punto di vista delle identità politiche. Storie, tradizioni, esperienze e sensibilità differenti sono confluite nella base elettorale di questo partito, formando un bricolage identitario. Se vogliamo tracciare il profilo di questo patchwork possiamo provare a enucleare le principali identità politiche presenti. L’agglomerato più grande è quello che si autodefinisce ambientalista (19 per cento), seguito da quanti si sentono fieramente anti casta (18 per cento), mentre il terzo agglomerato di autodefinzione identitaria è quello che fa riferimento al padre fondatore: il 17 per cento si definisce nettamente grillino. Seguono, a un livello pur sempre importante, entità che hanno una chiara e netta provenienza di sinistra: il 10 per cento si definisce progressista-riformista e il 9 per cento socialdemocratico. Una quota consistente, il 13 per cento, si definisce apolitico, mentre la restante parte si suddivide tra quanti si sentono dei centristi moderati e liberisti (un altro 10 per cento) e quanti hanno identità più vicine alla destra e all’autonomismo federalista (3 per cento). L’evolversi della situazione, l’andamento del governo, le scelte dei due contendenti ci diranno da che parte si sposteranno gli elettori. In questo fluire dinamico una certezza resta: le liti e le divisioni non sono mai indolori. L’astensionismo ringrazia. 

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