C’è un emendamento, approvato lo scorso maggio dal consiglio regionale toscano, che rischia di travolgere il presidente della regione Eugenio Giani. Un dettaglio che emerge dalle carte dell’inchiesta giudiziaria “Keu” che ha portato alle dimissioni del capo di gabinetto di Giani: Ledo Gori, indagato per corruzione, sarebbe stato a disposizione di un’associazione a delinquere che avrebbe smaltito, in modo illecito, scarti di lavorazione delle pelli destinate all’alta moda nazionale, anche attraverso un’impresa legata alla ’ndrangheta.

Per mettere in atto questo scempio ambientale gli accusati avevano bisogno di una sponda in regione e avrebbero corrotto Ledo Gori. La nomina a capo di gabinetto sarebbe stata la contropartita dello scambio corruttivo. Tra gli indagati ci sono i vertici dell’associazione conciatori di Santa Croce che hanno contribuito con 8mila euro, regolarmente registrati, alla campagna elettorale di Giani e che avrebbero chiesto all’attuale presidente la riconferma di Gori in cambio di voti durante una cena nel marzo 2020.

L’emendamento

Il 26 maggio 2020, in consiglio regionale, si discute la proposta di legge «Disposizioni in materia di scarichi e di restituzione delle acque». I conciatori inquinatori, emerge dagli atti dell’inchiesta, sono interessati: vogliono un emendamento per escludere l’impianto «Acquarno (impianto di depurazione, ndr) dall’obbligo della procedura di autorizzazione integrata ambientale (Aia)».

Nell’inchiesta della procura di Firenze, pubblici ministeri Giulio Monferini ed Eligio Paolini e condotta dal Noe e dal Nipaf dei carabinieri, colonnello Luigi Bartolozzi e tenente colonnello Marta Ciampelli, viene dato ampio spazio all’emendamento dello scandalo. Quell’emendamento sarebbe stato scritto da Alberto Benedetti, avvocato dei conciatori, indagato nell’inchiesta, e consegnato al consigliere Andrea Pieroni, vicino al segretario Pd Enrico Letta, che lo presenta come primo firmatario senza neanche capirne «il contenuto tecnico». Pieroni è indagato per corruzione perché in cambio avrebbe avuto la promessa di 2-3mila euro per la campagna elettorale.

Pieroni presenta l’emendamento, ma non presso la commissione legislativa preparatoria «per la contrarietà nota degli uffici tecnici regionali, inserendolo invece come emendamento presentato nell’ultima seduta di discussione», scrive il giudice Antonella Zatini. L’emendamento, come ha verificato Domani, viene presentato proprio il 26 maggio da Pieroni e firmato anche da altri tre consiglieri regionali, non coinvolti nell’inchiesta. L’emendamento viene presentato direttamente al presidente del Consiglio, Eugenio Giani, non ancora diventato presidente di regione.

L’opposizione esclusa

L’emendamento viene approvato «senza che di esso ne venisse fatta effettiva illustrazione del contenuto alle opposizioni», scrive il giudice. Gli uffici regionali spiegano che gli emendamenti presentati vengono distribuiti a tutti i consiglieri, ma il video della seduta del 26 maggio, che Domani ha visto, racconta altro. Un video ora nelle mani degli inquirenti che lo hanno acquisito, durante la perquisizione in regione. Il presidente del consiglio regionale, Eugenio Giani , si alterna con la vicepresidente Lucia De Robertis, e rientra alla quarta ora di seduta, al momento della votazione della proposta di legge che contiene l’emendamento dello scandalo. Quando il presidente Giani, tra la votazione dell’articolo 11 e il 12, introduce e mette in votazione l’emendamento contestato, le opposizioni pongono un quesito sulle modalità di presentazione.

Giani risponde così: «Ho qui il testo fin dall’inizio della cosa, è tra gli incartamenti che ho qui nella mia cartellina. Lo metto in votazione». L’emendamento viene approvato. «Mi sembra di riconoscere la mia voce, dicevo “dove sta questo emendamento, noi non lo abbiamo”. Noi avevamo annunciato voto a favore, ma alla fine, proprio per quell’emendamento, ci siamo astenuti», dice Giacomo Giannarelli, allora consigliere di opposizione del M5s.

Il presidente Giani era a conoscenza dell’interesse dei conciatori per quell’emendamento? Cristina Manetti, portavoce del presidente, non ha voluto parlarci.

Giani non è indagato, ma dagli atti, emergerebbe l’interesse ad approvare l’emendamento, poi risultato caro agli inquinatori. Caro solo a loro, visto che il governo nazionale, per volere dell’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa, ha impugnato con un atto la legge, presso la Consulta, contestando proprio quell’emendamento perché «apre la strada a una gestione non solo economicamente non efficiente, ma finanche contrastante con gli obiettivi di tutela ambientale».

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