Il trafficante di essere umani Abdul Raman al Milad, più celebre con il nome di “Bija”, è stato scarcerato dalle autorità della Libia, che lo avevano arrestato lo scorso ottobre trasferendolo in una cella della prigione di Tajoura.

La notizia di una sua imminente scarcerazione circolava già da qualche giorno tra alcune autorevoli fonti della nostra intelligence, preoccupata che il presunto criminale – potesse uscire dal carcere e scomparire nel nulla.

Domani ha avuto conferma, grazie a fonti militari libiche, che Bija è uscito dal carcere. Dopo, pare, aver chiuso un accordo informale che garantirebbe all’ex guardia costiera di non essere perseguito per i reati inizialmente ipotizzati dalla polizia della squadra “infad al kanun” (quello di traffico di migranti e contrabbando di carburante) in cambio del suo silenzio su possibili complicità nelle forze dell’ordine e nelle istituzioni libiche.

Il rischio, adesso, e che Bija ora faccia perdere rapidamente le sue traccie. Ma altre fonti dei servizi segreti italiani sottolineano che un personaggio così scomodo possa finire nel mirino di vendette trasversali dei vari clan che dominano il paese africano.

La scarcerazione eccellente avviene a una settimana dall’insediamento del nuovo governo unitario, ad interim, guidato da Ahmed Dbiba. La decisione potrebbe essere  legata all’inizio della campagna elettorale e di riposizionamento (interno ed esterno) che le varie fazioni hanno cominciato da qualche settimana, in vista delle elezioni nazionali previste a dicembre 2021.

Le milizia di Zawhia, città natale di al Milad, erano scese in piazza protestando contro il suo arresto e minacciando azioni ancora più dure.

Bija in Italia è diventato un simbolo dei rapporti, ancora non del tutto chiari, tra alcune milizie libiche accusate di crimini contro i migranti e il governo italiano, quando al ministero dell’Interno sedeva Marco Minniti: nel 2019 Avvenire aveva svelato che due anni prima Bija – considerato dall’Onu responsabile di trafficare esseri umani – era stato tra i protagonisti di un incontro segreto al Cara di Mineo con esponenti istituzionali italiani. Fatto che avvalorò l’ipotesi di patti indicibili tra miliziani senza scrupoli e l’Italia, con l’obiettivo di fermare il flusso di disperati che partivano dalla Libia verso le coste della penisola.  

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