L’Italia sperimenta una nuova forma di autarchia, l’info-autarchia. L’informazione su carta e radiotelevisiva ci ha per giorni propinato immagini e parole sul mito/eroe/santo/rivoluzionario Silvio Berlusconi. Colui che si è sacrificato per noi tutti scendendo in politica per salvarci dal comunismo.

Con poche eccezioni, pochissime, questa immagine irregimentata ha mostrato al mondo un paese isolato. L’Italia vista e rappresentata da dentro e l’Italia vista e rappresentata da fuori sono come due pianeti.

L’Italia più vicina alla realtà è certamente la seconda. Non vi è quotidiano straniero, perlomeno nei paesi democratici o cosiddetti occidentali, che non ricordi di Berlusconi quel che da noi non si ricorda: le ragioni che lo hanno catapultato sulla scena politica (prosaicamente il salvataggio della propria azienda); il servizio disonorevole che ha reso alla cosa pubblica, alla legge, al senso della decenza politica; il mercimonio delle funzioni pubbliche in cambio di favori sessuali; quel “bunga bunga” che è diventato una categoria usata a identificare l’uso improprio del potere nella forma definita da Giovanni Sartori come “sultanato”.

La politica come affare

Il Berlusconi di casa nostra è un’altra persona. È l’eroe del liberalismo, il liquidatore del moralismo, colui che ci ha portato una boccata d’aria fresca liberandoci dalle ideologie partitiche, slegando il discorso pubblico dal giudizio etico per legarlo a quello estetico, come spiegò Alessandro Pizzorso.

Tanto docile lettura compromette perfino l’interpretazione dell’omelia tenuta del vescovo di Milano – che ci ha ricordato il significato della Città di Dio di Agostino, rappresentando Berlusconi come una persona che ha conosciuto solo i valori della “città dell’uomo” e con essi si presenta al cospetto di Dio. Una brillante analisi impietosa di una vita non cristiana. Ma pochi hanno compreso.

Dunque, la politica come affare è un segno di emancipazione; le beghe giudiziarie sono state persecuzioni; l’onestà fiscale un’idiozia da fessi; il duopolio televisivo un vero “pluralismo”. Un mondo rovesciato, orwelliano, regalatoci da colui che doveva liberarci dal comunismo. E che ha posizionato il nostro paese tra gli ultimi nella classifica delle democrazie. A completamento giunge il coro istituzionale che traduce ogni opinione critica in “odio”.

Attenzione: d’ora in poi chi dice “bau” invece di “miao” rischia di essere bullizzato come violento. Cantare nel coro: questa è la norma della info-autarchia. E il parlamento è un indicazione simbolica, offerto, appunto, come corpo sacrificale. In un coro di silenzi, a comprova del potere dell’info-autarchia.

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