La causa avviata dalla Commissione europea contro l’Ungheria per la legge discriminatoria verso le persone Lgbt è la più grande procedura sulla violazione di diritti umani mai portata davanti alla Corte di giustizia.

Quindici paesi membri dell’Unione europea, insieme all’Europarlamento, hanno sottoscritto l’iniziativa. Altri undici hanno negato il loro sostegno. E sono tutti a est, tranne uno: l’Italia.

Il caso è quello della legge ungherese del 2021: un provvedimento a difesa dei minori che contiene numerosi aspetti apertamente discriminatori verso le minoranze sessuali e di genere, come il divieto di mostrare contenuti «devianti rispetto al sesso assegnato alla nascita, o che promuovono l’omosessualità».

Che il governo guidato da Giorgia Meloni si schieri, in questo frangente, accanto a Viktor Orbán non dovrebbe sorprendere. E non solo perché è ben nota la sintonia sul terreno della difesa della “famiglia naturale” e della battaglia contro l’“ideologia gender”.

In realtà, quella sui diritti Lgbt, ma che può riguardare altrettanto la separazione dei poteri o l’accoglienza dei rifugiati, è una contesa aperta tra due visioni dell’Europa.

Da una parte, c’è il progetto mai compiuto di una compagine sovranazionale politicamente integrata e ancorata alla promozione e la tutela dei diritti fondamentali. Dall’altra, l’Europa dei nazionalismi risorgenti, in cui la difesa di identità e interessi particolari ambisce alla primazia sugli obiettivi comuni.

Di questa seconda visione, che ha per campioni i governi di Ungheria e Polonia, l’Italia governata dalle destre è l’avamposto occidentale.

Nonostante la maggioranza abbia diversi volti, nonostante la sua postura di fronte alle istituzioni dell’Ue sia sempre meno oppositiva in materia economica, la sua politica sposa in pieno la rivendicazione centrale del progetto di una “Europa delle nazioni” caro ai nazional-populisti: che le competenze di policy in alcune materie restino o tornino ai paesi membri. Specialmente, in materie con forti implicazioni identitarie, come le migrazioni, i rapporti di genere, il trattamento delle minoranze etniche e sessuali.

È questo il senso della difesa messa in campo dal governo ungherese contro la causa intentata dalla Commissione: «L’educazione è una competenza nazionale ed è diritto dei genitori decidere sull'educazione dei propri figli», ha dichiarato la ministra della Giustizia di Budapest.

Una visione simile trapela dal rifiuto della destra italiana di riconoscere il certificato Ue di filiazione per le coppie omogenitoriali. Il regolamento europeo, sostiene la risoluzione approvata in Senato, rappresenterebbe un’invasione del diritto europeo su quello nazionale.

Ciò che è in gioco è l’idea stessa di una “casa comune” per i diritti e le libertà. I partiti sovranisti lo sanno, ed è su questo che combattono la partita del futuro.

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