Tra dichiarazioni ridimensionate, tweet cancellati e rapporti con Mosca progressivamente archiviati, il presidente della Camera oggi assume toni prudenti e istituzionali quando parla della Russia. Un tempo era grande ammiratore di Vladimir Putin e diceva: «La Russia è il riferimento per chi crede in un modello identitario di società»
«Vladimir Putin è il nostro leader». Nel 2014 Lorenzo Fontana non aveva dubbi. Da europarlamentare ospite «al congresso di Vienna degli Identitari» lodava lo Zar «leader della Restaurazione dell’Ancien Régime».
In estasi, spiegava al giornalista di Repubblica, Francesco Merlo che solo Putin rispettava identità e differenze contro il Dominium americano. Oggi ha idee diverse. Chissà se per rappresentare un malessere diffuso nella Lega verso Matteo Salvini o per non perdere posizioni e restare sulla scena. Da presidente della Camera parla di una Russia «che ha fallito completamente questa guerra». Pur invocando «prudenza», sull'uso degli asset russi congelati in Ue per aiutare Kiev: «Non vorrei fosse usato per proseguire nel conflitto».
Classe 1980, «veronese e cattolico». Una traiettoria di vita nel segno della croce e della Russia di Putin, che durante il suo ventennio al potere ha portato avanti molte guerre: Cecenia nel 1999, Georgia nel 2008, Ucraina nel 2014, Siria nel 2015.
Putin «è il riferimento per chi crede in un modello identitario di società», diceva il Fontana leghista. Sarà stato per questo che molti sollevarono dubbi sulla sua elezione a presidente della Camera. Per il Financial Times era: «Un euroscettico ammiratore di Vladimir Putin. Secondo gli analisti, l'elezione di Fontana a presidente della Camera, riflette il forte potere e l'influenza dell'ala filo-russa della Lega di Salvini».
Cancellare le tracce
Così le dichiarazioni espresse nelle vesti di presidente, segnalano uno slalom tra presente e passato. Con tonni moderati e dialoganti, ha nascosto come polvere sotto il tappetto la giostra di dichiarazioni pro-Putin: cancellando diversi tweet, archiviando interviste, ma soprattutto gli incontri con uomini potenti vicini allo Zar.
Fontana non è più il leghista che il 25 aprile festeggiava solo San Marco e non la Liberazione dal nazifascismo (quasi in sintonia con il neo-presidente del Senato). Tante vite: ex deputato, vicesegretario responsabile esteri della Lega, eurodeputato, titolare degli Affari europei e poi ministro per la Famiglia e le disabilità. Tutte con un’identità precisa: filo-Putin, euroscettico.
A fine maggio del 2018, ospite del convegno dell’associazione Pro Vita Onlus a Verona, spiegava che l’esempio da seguire è la Russia: «Se trent’anni fa la Russia, sotto il giogo comunista, materialista e internazionalista, era ciò che più lontano si possa immaginare dalle idee identitarie e di difesa della famiglia e della tradizione, oggi invece è il riferimento per chi crede in un modello identitario di società».
Da neoministro degli Affari europei, Lorenzo Fontana, in molteplici dichiarazioni ha messo in dubbio il futuro coinvolgimento dell’Italia nella Nato, visto l'orientamento antirusso dell'Alleanza atlantica. Si è vantato di aver messo a punto con Salvini, negli anni in cui condividevano la medesima abitazione a Bruxelles, «la battaglia contro la globalizzazione e l'egemonia americana». Ha definito «scellerato» l'embargo occidentale contro Mosca, «che costa un miliardo ai nostri imprenditori».
Una fascinazione non solo per la difesa dei valori ma anche per i metodi usati. I suoi profili social, dopo la nomina da presidente hanno subito una sbianchettata. Tweet cancellati ma soprattutto articoli e interviste rimosse. Nel 2014 elogiava l’arresto da parte degli agenti russi di 700 persone di religione islamica e sempre nello stesso anno rilanciava il discorso di Putin che puntava a trasformare la cultura in uno strumento di controllo politico e sociale.
Le radici russe di Fontana
I suoi legami con la Russia risalgono al 7 dicembre 2013. Congresso federale Lega Nord, presente Alexey Komov, a nome dell'associazione ultracattolica World Congress of Families, responsabile internazionale della Commissione per la famiglia del Patriarcato ortodosso di Mosca e grande amico dell'oligarca Konstantin Malofeev, già molto attivo nei rapporti tra il Cremlino e i francesi del Front National. E mentre Salvini spostava definitivamente il baricentro della Lega verso la Russia, Fontana esportava in Italia i suoi contenuti (guerra alle persone Lgbtq e ai diritti riproduttivi).
Un rapporto fertile, quello tra il neo-presidente della Camera e l’emissario di Putin, lungo quasi un decennio. A raccontare del loro incontro su La Padania del 10 dicembre 2013 era stato un ancora sconosciuto Gianluca Savoini, che come racconteranno anni dopo Giovanni Tizian e Stefano Vergine ne Il libro nero della Lega (Laterza), ricoprirà un ruolo chiave durante il meeting avvenuto il 18 ottobre all’Hotel Metropol di Mosca al fine di strappare un accordo con una società petrolifera collegata a Malofeev per tentare di finanziare la Lega in vista della campagna elettorale per le elezioni europee di maggio.
Il 10 ottobre 2016 Fontana accoglie Komov nelle vesti di eurodeputato per un dibattito dal titolo “La famiglia sotto attacco”. Una relazione ben concreta, basti pensare all’invito ricevuto da Russia Unita (il partito di Vladimir Putin) a partecipare come “osservatore” al referendum sull’annessione della Crimea e nella battaglia contro le sanzioni dell’Europa alla Russia (si presentò al Parlamento Europeo indossando la maglia «No sanzioni alla Russia»).
Il sigillo di questa unione è visibile nella realizzazione del Congresso di Verona nel 2019, definito da Human Right Watch: «La più influente organizzazione americana esportatrice di odio». Oggi il presidente Fontana ci regala se non una metamorfosi, un luccicante maquillage: nasconde il volto dei comizi russi, a favore di un’immagine più ricevibile, nello spirito del tempo, per cambiare il verso alla narrazione. Almeno per adesso.
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