Tutti scontenti, tutti soddisfatti. Per un boccone amaro trovato nel piatto, i leader della maggioranza hanno trovato uno zuccherino per mandarlo giù. E raccontare all'elettorato la propria versione. Finisce così il primo tempo sulla manovra: con un pareggio che consente a chiunque di sentirsi un po’ vincitore. Il testo, nell’ultima versione diffusa, è l’esito di serrate trattative notturne, di toni infastiditi, che hanno portato una mediazione al ribasso, alla ricerca del punto di caduta sopportabile.

È andata così sulla vicenda dei prelievi dai conti per i debiti con il fisco, su cui Lega e Forza Italia hanno condotto un attacco congiunto. Fino al passo indietro annunciato da Palazzo Chigi, prima in via informale e poi ufficiale. Non poteva mancare il solito scaricabarile: «La norma era voluta dal precedente governo», ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Fatto sta che era stata inserita nelle bozze, predisposte dal governo in carica.

Strapuntino Salvini

Nel caos generale, Salvini ha ottenuto lo scalpo personale di quota 104 sulle pensioni che avrebbe catapultato il sistema previdenziale in un regime più severo della legge Fornero. Ora è pronto a illustrare le magnifiche sorti e progressive della conservazione del meccanismo di quota 103, che comunque è una versione peggiorata rispetto a quello attuale. Si riduce dell’85 per cento la rivalutazione delle pensioni non superiori a 5 volte il minimo, ossia circa 2.800 euro lordi al mese. Fuori dai tecnicismi si fa cassa altrove per stoppare, per il momento, quota 104. Non è proprio «il cambio di passo» che ieri chiedeva il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa. Ma pazienza: sempre meglio rispetto allo spauracchio di un inasprimento ulteriore. Il ministro delle Infrastrutture potrà dire di aver portato a casa i soldi del ponte sullo Stretto e di aver scampato il peggio sulla stretta previdenziale, ricorrendo allo storytelling dell’inizio del percorso per superare la legge Fornero.

Da parte sua Meloni ha sparso ottimismo a piene mani: «Non c’è alcun problema con Salvini e Tajani, ci sentiamo tutte le mattine». La concordia non si è però palesata nei fatti e nemmeno sulla tempistica. La premier ha spiegato che la versione definitiva della legge di Bilancio era «in arrivo», poco prima il vicepremier Salvini la dava per «chiusa» e l’altro numero due di Palazzo Chigi, Antonio Tajani, spiegava che sarebbe approdata al Senato «lunedì o martedì». Un’istantanea perfetta del caos che regna ai piani alti del governo. Sul capitolo Mes, alla fine, Meloni si è rifugiata nella solita retorica: «Non si può affrontare il tema di uno strumento se non si conosce la cornice». Si decide di non decidere, in attesa «del nuovo patto di Stabilità», ha ripetuto alimentando i malumori europei.

Stress test Mef

In assenza di novità, la premier ha lanciato l’immancabile attacco alla stampa sulle ricostruzioni bollate come «fantasiose» sulle tensioni che attraversano la maggioranza. Una difesa d’ufficio che prova a smentire le divergenze, emerse nelle dichiarazioni, che non sono fantasie ma frutto di parole raccolte. Il segretario di Forza Italia Tajani aveva rilanciato la polemica sull’aumento della cedolare secca per gli affitti brevi: «Stiamo vigilando, discutendo, vedremo quali garanzie saranno date anche ai cittadini che sono proprietari di case».

Per i berlusconiani è un punto d’onore, quello di non introdurre nuovi balzelli. E in questo senso una fotografia della manovra viene scattata dal leader di Azione, Carlo Calenda: «Taglia le tasse ma aumenta delle tasse piccole. Dopodiché fa un deficit enorme». Fatti concreti, non fantasie. Ne sa qualcosa il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sottoposto a un pesante stress test, come hanno spiegato fonti parlamentari a lui vicine. Al Mef il clima è pesante, il ministro è infastidito dal tentativo di portare a casa uno strapuntino.

E infine, nella girandola di cambiamenti rispetto alle versioni iniziali della manovra, resta il tetto di 50mila euro di titoli di stato nel calcolo dell’Isee e, per raggranellare un po’ di risorse, viene confermato che il taglio del cuneo fiscale non riguarderà la tredicesima.

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