Appena un argomento diventa scottante, il governo Meloni segue una sola strada: la fuga. Qualsiasi tema complicato, infatti, viene discusso il minimo indispensabile per archiviarlo il prima possibile. Dalla legge di Bilancio all’accordo con l’Albania è un continuo tentativo di scappare dal confronto. E di conseguenza dalle proprie responsabilità. La manovra economica è solo il caso più significativo, di maggiore impatto.

Toccata e fuga

Quella che inizia è una settimana cruciale e già oggi è una giornata particolarmente delicata. Nel primo pomeriggio dovrebbe arrivare, salvo slittamenti, il giudizio dell’Unione europea sul provvedimento. Nell’esecutivo c’è fiducia. Alle 18, poi, scadrà il termine per la presentazione degli emendamenti in commissione bilancio al Senato.

Non si prevedono comunque grosse sorprese: la maggioranza sarà ligia all’ordine impartito da Palazzo Chigi di non presentare proposte di modifiche al testo. Si potrà fare giusto qualche aggiustamento, una manutenzione dell'ordinario, mentre i nodi veri, come il pasticcio sui tagli pensioni, saranno sciolti da un maxiemendamento governativo oppure attraverso dei chirurgici cambiamenti firmati dai relatori. Quindi con la benedizione della presidenza del Consiglio e del Mef.

Alle opposizioni resta la battaglia più mediatica che di contenuti, tanto che vengono illustrate varie contromanovre. Con speranze ridotte di ottenere successo. Martedì Azione di Carlo Calenda, alla Camera, illustrerà la propria legge di Bilancio alternativa, che si tradurrà in proposte emendative.

Dopo 24 ore, invece, sarà la segretaria del Pd, Elly Schlein, a descrivere la contromanovra durante la direzione del partito. Il Movimento 5 stelle, per parte sua, non ha preparato un’iniziativa del genere, ha però messo nero su bianco un fuoco di fila di emendamenti. Saranno circa un migliaio quelli depositati dal gruppo guidato da Stefano Patuanelli. Poco male.

Giorgia Meloni ha deciso la strategia della fuga: farà bocciare a raffica gli emendamenti, riducendo al lumicino il dibattito. Il presidente della commissione Bilancio a Palazzo Madama, Nicola Calandrini, sarà severo giudice delle ammissibilità.

Albania in parlamento

E se sulla manovra la fuga dovrà comunque durare almeno un mese, perché è difficile fare di meno, su altri punti si mira a ridurre drasticamente i tempi. Un esempio? Il confronto sull’accordo stipulato con l’Albania per contrastare gli sbarchi in Italia.

In un primo momento, Palazzo Chigi addirittura non riteneva necessario il passaggio in parlamento: bastava il sigillo apposto da Meloni con il premier albanese, Edi Rama. C’è stato un parziale ravvedimento: il governo spedirà, nella mattina di oggi, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, per le “comunicazioni” sul patto con Tirana.

A Montecitorio saranno presentate le risoluzioni, da mettere ai voti, sul testo del discorso del vicepremier: con l’approvazione del documento la maggioranza pensa di cavarsela e tirare dritto. Basta e avanza un solo passaggio, almeno nella logica di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia.

Le opposizioni, però, non sono affatto convinte. Per questo sono all’opera per una risoluzione unitaria e non solo per trasmettere un’immagine di compattezza. Lo scopo principale è di non archiviare il tema con delle semplici comunicazioni rese al parlamento: si punta insomma a entrare nel merito dell’intesa e provare a modificarla.

Calendario anti Mes

Un altro capitolo della fuga del governo Meloni riguarda l’eterno confronto sul Mes. La sua ratifica risulta tra i punti all’ordine del giorno della settimana. Ma l’attesa è destinata a rimanere frustrata, non ci sarà alcuna votazione né una discussione.

La combinazione di provvedimenti, infatti, consente di posticipare il dibattito in aula sul meccanismo di aiuti agli stati. Non si tratta di un rinvio vero e proprio: semplicemente il calendario dei lavori è stato costruito per favorire lo slittamento indefinito della discussione, che rappresenta tuttora un problema per il centrodestra.

L’idea resta quella di sempre: la contrarietà all’approvazione. Solo che dall’Unione europea è ancora in atto un pressing asfissiante. Il tentennamento dell’Italia è un problema per Bruxelles e a ogni incontro con i suoi omologhi, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è costretto a prendere tempo.

Così l’appiglio è l’inserimento in un calendario sovraffollato: a Montecitorio c’è da convertire in questa settimana il decreto proroghe, nei prossimi giorni arriveranno altri due decreti, su immigrazione e Campi Flegrei. Almeno così si può scappare dal Mes senza nemmeno simulare un dibattito.

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