Per noi appassionati di corse al Quirinale, sensibili alla febbre da Monte Cavallo, ci vorrebbe una conferenza stampa di Mario Draghi al giorno. Quella di ieri poi ha eccitato davvero gli animi. La mossa ha spiazzato i partiti e preoccupato i leader, in particolare Silvio Berlusconi. L’aspetto ironico è che per settimane i vari Enrico Letta, Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Matteo Renzi hanno continuato a ripetere: Draghi deve dire che cosa vuole fare.

E ora che l’ha detto, non sembrano per niente contenti. Supermario ha smesso gli abiti del banchiere e dell’ex presidente della Bce per presentarsi come «un nonno al servizio delle istituzioni». Certo, ha aggiunto, il governo di unità nazionale deve continuare, anzi se possibile allargarsi ma può farlo anche senza di me, purché la maggioranza resti questa. Ha detto testuale: «L’opera del governo può continuare al di là di chi lo guida. Se la maggioranza si spacca sul Colle, poi difficile che si ricomponga».

Come capo dello Stato, elogiando Sergio Mattarella, si è presentato come il “garante”: «Il presidente della Repubblica», ha detto, «non è tanto un notaio ma un garante». L’Italia sarebbe in cerca di un nuovo garante. In questo caso, Mario Draghi, who else?

I commenti sui giornali sono per lo più critici. Alessandro Sallusti su Libero vede la rivalità con Berlusconi “Nonno contro bisnonno” e prevede una “guerra di nervi” fra i due. Antonio Polito sul Corriere presenta i contendenti come visti entrambi male dai grandi elettori. Mr. B per le note ragioni.

“Con Draghi”, scrive “a Palazzo Chigi i partiti non toccano palla, non li tratta, non li vuole, non li cerca. Se va al Quirinale, non li invita neppure alla festa della Repubblica. Ne hanno paura”. Stefano Folli su Repubblica spera ancora che non si deteriori il rapporto con i partner di maggioranza: “Se coesione deve essere, è tutta da costruire”.

MATTEO RENZI PROPONE UN’ALTRA MEDIAZIONE

Matteo Renzi ospite ad Atreju (LaPresse)

Non è proprio un leader che goda di simpatie, ma certo Matteo Renzi è veloce ed abile nel gioco stretto della politica. È l’unico leader di partito a intervenire oggi in modo articolato in reazione alla mossa di Mario Draghi. Intervistato questa mattina da Repubblica, evita di esprimersi sulle candidature, compresa quella del premier.

Ma contesta il suo ragionamento di fondo, sostenendo: altre volte il presidente della Repubblica è stato eletto da maggioranze diverse da quella al governo, senza provocare crisi: «Il Quirinale fa sempre storia a sé». Renzi suggerisce dunque di abbassare i toni e godersi il Natale. Ieri alla Camera hanno fatto i conti dei nuovi obblighi di approvazione imposti dai decreti del Governo ed è diventato il 24 gennaio il probabile giorno della prima votazione per il nuovo Presidente. Fra un mese esatto.

DICIOTTO PROFILI PIÙ UNO

Enrico Letta, Luciano Violante, Anna Finocchiaro (LaPresse)

Ma la corsa verso il Colle è partita. Se si mettono insieme tutte le ipotesi fiorite nei vari toto nomi, viene fuori infatti un elenco lunghissimo. Solo il Corriere della Sera oggi presenta piccola biografia e foto di ben 18 candidati. Si parte dai due: Mario Draghi e Silvio Berlusconi. Poi seguono: Marcello Pera e Letizia Moratti. New entry del fronte centro destra: Gianni Letta. Quindi: Maria Elisabetta Casellati.

Segue Giuliano Amato, che il Cav candidò già nel 2015. Poi si guarda a sinistra, ecco la vecchia gloria Romano Prodi. E poi i ministri Cultura Dario Franceschini e Difesa Lorenzo Guerini, il commissario Ue Paolo Gentiloni. Quindi Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Sempre donne ma due super partes: Marta Cartabia e Paola Severino. E tre outsider: Pier Ferdinando Casini, Sabino Cassese e Francesco Rutelli. Manca qualcuno? Secondo MF sì: manca Luciano Violante, che non dispiacerebbe a Giorgia Meloni.

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