Luigi Marroni, il supertestimone del caso Consip, nel suo ultimo interrogatorio depositato nell’inchiesta della procura di Roma e pubblicato ieri da Domani, non ha solo parlato degli incontri con Tiziano Renzi e delle pressioni e delle minacce del sodale Carlo Russo. Ma pure degli altri protagonisti dello scandalo dell'appalto sul facility management da 2,7 miliardi di euro.

In primis, di Denis Verdini, già braccio destro di Berlusconi e poi leader del partito Ala. Verdini secondo l'accusa ha tentato di “spingere” l'azienda francese Cofely, oggi ribattezzata Engie. Davanti ai pm Paolo Ielo e Mario Palazzi che lo interrogavano dopo la richiesta del gip Gaspare Sturzo di effettuare nuove indagini (il giudice ha infatti rigettato in parte la richiesta di archiviazione degli inquirenti, che forse si preparano a chiedere presto il rinvio a giudizio gli indagati), l'ex ad della stazione appaltante ha parlato degli incontri con l'ex leader di Ala, con Ignazio Abrignani e l'imprenditore Ezio Bigotti.

In particolare, i pm chiedono al manager se gli incontri avvenuti fossero solo frutto di «una richiesta di Verdini oppure una minaccia, un'imposizione, una pressante richiesta». Marroni dice che con Verdini i rapporti sono sì amicali ma non certo stretti: «Non ci gioco a calcetto», ha detto, ma il figlio del manager e quello della compagna di Verdini sono soci in un ristorante. Marroni ha spiegato che l’ex berlusconiano non lo ha mai minacciato, certamente, però, gli aveva chiesto dei «favori».

Tutti amano Casalino

Che tipo di favori? In primis, quello di nominare il predecessore di Marroni alla guida di Consip, Domenico Casalino, all'interno dell'organo di vigilanza della stessa stazione appaltante. «Mi fu chiesto anche dal sottosegretario Luca Lotti. Dissi che non l'avrei fatto, che se mi fosse stato imposto mi sarei dimesso. Lotti mi disse: “Guarda lo capisco, ti chiedo però di farci il piacere di essere gentile con Verdini perché ce l'ha chiesto Verdini, Verdini ci tiene su il governo e abbiamo bisogno che tu potesse essere gentile, cortese con Verdini”. Non mi chiese di fargli favori, però mi chiese se potevo essere gentile. Io gli dissi: “Va bene, perché devo fare cadere il governo io? Sarò gentile con Verdini”».

Dunque, l'incontro tra Marroni e Bigotti al Moro fu un favore fatto per non dispiacere l'alleato del patto del Nazareno, quello tra i renziani e i berlusconiani. Così racconta almeno Marroni.

«Bigotti aveva vari contenziosi con Consip e riteneva che noi fossimo particolarmente aggressivi e severi nei suoi confronti». Seduti a tavola i due (davanti allo stesso Verdini e all'imprenditore Piero Amara, amico di Bigotti poi finito in altre vicende giudiziarie) non se le mandano a dire. I toni salgono. «Pressioni o minacce o spinte da parte di Verdini in quella occasione? No. Mi disse: “Cercate di trovare una soluzione nei limiti della legge”».

Bianchi? L’uomo giusto

Marroni a verbale parla lungamente anche di un altro petalo del Giglio magico di Matteo Renzi. Cioè l'avvocato ed ex presidente della fondazione Open Alberto Bianchi. Ai magistrati, che gli chiedono se e perché ha scelto lui il legale come consulente (assai ben pagato) di Consip, Marroni (piazzato sulla poltrona della spa pubblica proprio dal governo Renzi) risponde così: «Conosco l'avvocato Bianchi da quando ero direttore generale della Asl di Firenze, ma era già avvocato di Consip da molti anni: è un noto amministrativista, ma io non ho avuto modo né di aumentare né di diminuire il rapporto con Bianchi quando sono venuto».Insomma, nessun conflitto di interessi.

Operazione Manutencoop

Un’altra domanda cruciale dei pm è quella sul rapporto tra Bianchi e la Manutencoop, gigante del facility management che – a causa di una sentenza dell'Antitrust – a un certo punto viene esclusa dalle gare di Consip. Il sospetto è che Bianchi abbia partecipato ad alcuni consigli di amministrazione di Consip, di cui era legale esterno, per perorare gli interessi della società cooperativa.

Marroni però sembra smentire l'ipotesi: «Il fatto che loro dovessero essere decadenti dalla gara era una cosa di grandissima complicazione, con implicazioni molto pesanti e potenziali cause» civili, spiega il manager ai pm. «Feci una sorta di pool di avvocati, per cui se ne parlò tanto anche con Bianchi di questa cosa». Non dentro il cda ma prima, in una sorta di riunione preparatoria al cda, luogo in cui bisognava decidere se annullare o risolvere il contratto con Manutencoop. «Bianchi era lì nell'interesse di Consip, non di Manutencoop», dice Marroni.

Quando Ielo gli chiede se però in altre occasioni il legale di Renzi intervenne a favore della grande azienda privata, Marroni ricorda che fu organizzato un incontro con Bianchi, che «venne insieme all'amministratore delegato di Manutencoop». L'ad della cooperativa però non fu presentato per la prima volta da Bianchi, ma era già venuto nei suoi uffici, da solo, in passato. «Bianchi mi disse: “Luigi, a questa riunione doveva venire anche Bonifazi, poi all'ultimo non è venuto”. Usò anche dei termini un po' forti, militareschi, colloquiali...Poi disse: “Questo signore ti deve parlare per una nota questione, e l'ad di Manutencoop espose le sue ragioni. Bianchi in effetti in quella situazione disse anche, se ricordo bene. “Sai, mi trovo un po' in difficoltà perché da un lato accompagno l'ad di Manutencoop, dall'altro lato sono avvocato vostro, quindi oltre che a portartelo e presentartelo non ho altro da dire”».

La versione di Bonifazi

Marroni dice ai magistrati romani che Bianchi, durante il meeting, non interloquì e non prese posizioni, e fece solo «commenti molto generali». Anche Francesco Bonifazi, braccio destro di Renzi in Italia viva e allora tesoriere del Partito democratico, è stato interrogato dai pm sul meeting: Ielo e Palazzi, i magistrati della procura di Roma, volevano capire se c'era stato un comportamento improprio dei protagonisti dell'incontro, o se tutto era rimasto nella dialettica istituzionale tra politici e funzionari pubblici.

«Marroni? Lo conosco da lungo tempo. Ma mi è capitato di conoscere, per quanto riguarda Consip, una sola questione specifica, allorquando non ricordo se altri o direttamente Marco Canale, da poco nominato presidente di Manutencoop...mi partecipò di una preoccupazione», ha detto Bonifazi. Questa preoccupazione era, appunto, che la grande cooperativa rischiava di non poter partecipare più alle gare Consip, «con un drammatica ricaduta occupazionale».

Dunque, ha spiegato ai pm Bonifazi, «è possibile che chiesi un appuntamento per Canale con Marroni, ma benché fosse una interlocuzione legittima, per garbo istituzionale ho preferito non essere presente. Non ricordavo della presenza anche dell'avvocato Bianchi. Un rapporto professionale tra lui e Manutencoop? Non so, ma tenderei ad escluderlo».

Palazzo Chigi

A raccontare i contatti con Palazzo Chigi è ancora l’ex amministratore delegato di Consip. Marroni, in merito all'ipotesi che Bianchi svolgesse un ruolo di trait d'union tra Consip e Palazzo Chigi, ha spiegato che talvolta, con membri del governo come l'allora sottosegretario De Vincenti e la ministra Maria Elena Boschi, lui stesso aveva parlato del tema delle esclusioni delle grandi aziende come Manutencoop o Cns.

«In alcune gare erano stati impiegati lavoratori socialmente utili. Questa questione suscitava molte preoccupazioni di tipo sociale, sindacale e politico...spesso (da Palazzo Chigi, ndr) ci veniva chiesto di trovare soluzioni per evitare problemi occupazionali. Io ritenni che forse Bianchi in questo caso, qualora si fosse presentata una crisi di tipo istituzionale o sindacale, essendo nostro avvocato ed essendo in ottimi rapporti con la politica di Palazzo Chigi, potesse essere un trait d'union che spiegasse cosa stavamo facendo. Questo era lo scopo». Ma solo in questi casi specifici, che comunque – chiude Marroni - non si sono verificati.

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