Matteo Salvini è un moderato, un democristiano doroteo. Una svolta. Scordatevi il truce, il rozzo ragazzaccio svogliato che insegue Umberto Bossi per anni e da Radio Padania arriva alla segreteria del partito quasi per caso. Il senatore Salvini pare abbia subito una trasformazione genetica.

Non si odono attacchi ai “negri”, agli immigrati, ai meridionali, ai musulmani, all’Islam, alla cucina etnica, all’Europa dei burocrati, a Roma ladrona. Nessun inno contro i terroni, nessuna preghiera laica perché il Vesuvio cancelli Napoli. Mancano le intemerate contro la Chiesa, contro i preti e contro il papa e il papato. Non c’è eco di attacchi a sindaci “comunisti”, ai sindacati che rallentano la produzione, a dirigenti e funzionari annidati nei ministeri che boicottano il Nord produttivo (sempre e solo).

Addio Trump e Putin

Non un alito sfiora i giornalisti, le varie caste, nulla contro quanti da anni spiegano, documentano e scrivono che la mafia, le mafie sono al nord, soprattutto al nord, per ragioni finanziarie, e che la mentalità criminale si impara, non è un dato antropologico.

Paiono finiti i tour eno-gastronomici, le felpe campaniliste, le magliette con l’effige di Putin e le foto con Trump. Nessun tricolore da sostituire con il Pirellone, niente vagoni separati per immigrati nelle metropolitane milanesi, nemmeno una parola contro le banche (il ministro Giancarlo Giorgetti le ha prontamente rassicurate sugli extra profitti), le plutocrazie giudaico-massoniche. Salvo è anche il capo di stato.

Sia come figura istituzionale, da sempre invisa al disegno leghista, sia quello in carica per la sua prodiga azione di civismo repubblicano. Per non parlare – appunto – del silenzio sull’internazionale dei volenterosi sfidanti dell’Europa unita, della destra nazionalista ed estrema.

E non si ha memoria del rosario di dichiarazioni circa il rischio sicurezza nelle città italiane assediate da orde di criminali (su questo probabilmente rassicurato dalla presenza al Viminale del suo ex capo di gabinetto, Matteo Piantedosi) né dei rosari veri da ostentare insieme a madonnine azzurre. Afono sulle droghe leggere, ma soprattutto su quelle pesanti, sulla diffusione di armi e la sua volontà di rendere più accessibili a tutti.

Basta uova contro la polizia

Non lancia più uova contro i politici, non oltraggia i pubblici ufficiali, non incontra capi ultrà dalla fedina penale non immacolata e non si scapicolla contro gli albanesi. I toni usati sono in fondo simili a quelli di Radio Padania, ma manca l’uditorio e le dirette d’epoca senza filtri sono pericolose e non in linea con i tempi.

Gli odiati centri sociali – pure un tempo frequentati – sono salvi dal Salvini pensiero, ma non spopolano i selfie con esponenti della nuova estrema destra. Le ruspe sono state parcheggiate e le visite ai campi rom sono un fioco ricordo.

Pure sbiadite le uscite contro la Commissione europea, ma nessun rimbrotto ai giovani studenti “di sinistra” che lo contestavano a ogni piè sospinto. Del buonsenso come apologia e ideologia si è persa traccia, e pure latitano le discettazioni sulla Lega nazionale, sul partito d’Italia. vuoto è il taccuino se si cercano strali contro i prefetti rei di essere granitici presidi dello stato oppressore, vecchia ossessione delle camicie verdi.

I social media sono più compassati e il profluvio di dichiarazioni deborda solo in occasioni sportive, quando emerge il vecchio stile da tifoso. I toni da no tax day sono archeologia e le ronde padane sono rientrate; sfumati anche i peana per le campagne anti-vaccinali, i green pass e il canto di Bella ciao nelle scuole. La difesa del “bianco Natale”, della sacra polenta contro il cous cous, della mucca Carolina dall’insidia delle quote latte imposte dall’algido palazzo di Bruxelles, tutto letteralmente scomparso.

Il paese dimentica in fretta

Il paese dimentica rapidamente, è una vecchia abitudine italica, ma qui siamo oltre la rimozione collettiva. Il senatore Salvini, quello eletto a Locri nel 2018, ma poi scappato al nord, ha fatto quasi perdere le sue tracce. E forse a qualcuno persino manca. In realtà Salvini da Milano è scomparso dai radar, si è inabissato. Tattica, strategia, opportunismo, mutazione, chissà.

Dunque, sembrerebbe che abbiano ragione quelli per cui la Lega è ormai un partito affidabile e moderato, una forza istituzionale. Tutto sommato, la Lega è sempre stata al contempo un partito estremo e di governo, non un partito di opposizione (se non per ovvie congiunture elettorali), ma un partito pro-sistema, un sindacato (pardon) degli interessi economici (altro che identitari) del nord e dei suoi imprenditori. La Lega nord quale nuova Dc, partito dell’“estremismo di centro” che si schierava contro i partiti, per essere al di sopra. Questo pretendeva di essere agli inizi.

Tutto mutato perciò, ma solo per quelli di bocca buona e per quanti sono mossi da biechi interessi e super realismo, certo. Ma sono ingenui o complici della costruzione di un falso. Di primo acchito, sembrerebbe che non ci siano più le urla da osteria del senatore Roberto Calderoli che chiama “orango” la ministra Cécile Kyenge, o scatena le proteste a Bengasi per una maglietta raffigurante Maometto mostrata in tv, o Mario Borghezio che scorrazza sui terreni dove sarebbe dovuta sorgere una moschea innaffiandoli con sangue di maiale, le bambole gonfiabili assimilate a Laura Boldrini dal Capitano, che voleva i «pieni poteri» come il Duce. La Lega ha imparato in fretta a mimetizzarsi.

Un Salvini nuovo in scarpe vecchie

Del precedente Salvini permane la personalizzazione, la coltivazione del ruolo di capo-partito e partito di sé stesso, per allontanare vecchi spettri delle navi da bloccare nei porti, dei decreti, e della smania di fare per giungere a palazzo Chigi. Salvini prova a darsi un tono da buon ragazzo della porta accanto, un decoro nell’abbigliamento, perché deve distinguersi dagli ultras meloniani che mettono in imbarazzo le istituzioni e la presidente del Consiglio.

Un tratto sobrio, ma la sostanza non cambia, il pensiero e il progetto leghista rimangono immutati, a iniziare dall’autonomia differenziata, tutta a favore delle regioni ricche, del nord, per il nord. Un Salvini nuovo in scarpe vecchie. Una subdola mimetica per nascondere la vera natura leghista. Per meglio competere con Giorgia Meloni su temi meno divisivi, far dimenticare il profilo del Papeete e rassicurare il nord, il tutto condito da uscite per pochi adepti, ma con i toni consueti.

Del resto a chi non mancano le scene delle bevute, il qualunquismo becero, i tratti anti-statali, le crasse battute tra gli stand di Pontida? Di cui giunge notizia della nuova edizione annunciata in pompa magna. I toni, forse, sono cambiati, oppure ci siamo abituati. O solo distratti.

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