Il discorso di Giorgia Meloni alla festa di Fratelli d’Italia anziché risuscitare l’orgoglio italiano, scade nel complesso di persecuzione. Va bene in una forza anti sistema, ma non ha senso per un governo retto da una maggioranza di cemento; forse, per vincere l’appalto elettorale, ci han messo troppi inerti. Meloni non può prendersela con l’opposizione ancora debole e divisa. La destra non si perita di promettere quanto non può mantenere, e si crede pure svincolata dalla coerenza, causa di tante liti a sinistra. Così è facile coalizzarsi, ma poi la conseguenza si vede.

Alla maledizione della faziosità a sinistra si dedica, con gusto e abilità, il capo dei M5s, Giuseppe Conte. Per non farsi federare da Elly Schlein la invita, irridente, a federare piuttosto le sue correnti. Le quali spesso fanno seri danni, mai però quanto quelli inflitti alla democrazia dai partiti dominati da un padrone. L’avvocato-banderuola dei populisti con Matteo Salvini andava d'accordo fino al colpo di sole ferragostano. Non ingannino le sue tirate da Masaniello contro la premier, per lui tutto è sempre possibile, il che non va bene.

Meloni non poteva citare promesse mantenute, né risultati davvero utili alla “Nazione”; poteva sì scegliere toni alti, istituzionali, ma non sa ancora di esserci lei, ora, al governo con cui si crede ancora in lotta. Ha quindi tenuto un discorso lungo, da leader castrista (vietati i riferimenti ai domestici antenati) che trasuda insicurezze, strane per chi pensa di durare a lungo; è una prova di debolezza, non di forza. Perciò urla parole da capo fazione: «Non vi libererete facilmente di me», adatte a una vittimista arrogante, non a una leader salda in sella. Bisogna capirla, a 14 mesi di età il suo governo-bimbo non sta in piedi e nemmeno seduto; crolla sulla destra, il suo lato debole. Girovagando per il mondo rosicchia qualche punticino di legittimazione personale; non ne guadagna l’Italia.

La grande illusione

I suoi disprezzano la culla della nuova Europa, il manifesto di Ventotene, voluto da tre grandi che pagarono con lustri di carcere e confino la loro coerenza; avrebbero svenduto la Nazione! I tre erano in villeggiatura, secondo chi sdoganò Meloni e i suoi fratelli dal recinto degli “anticostituzionali”; stessero cheti, gli era andata di lusso, a differenza di tanti altri erano almeno vivi. Anche se uno dei tre, Eugenio Colorni, sopravvisse solo per poco alle botte fasciste.

La Ue è in fase critica fra guerre, nuovi patti, allargamento; tanta strada deve ancora fare, ma in avanti, non all’indietro. Meloni trascura il tema, non supplisce la patina del suo atlantismo, la vernice è ancora fresca. I suoi amici guidano il Regno Unito della Brexit e l’Albania, paesi extra Ue. Con loro è più semplice fare accordi sui migranti che coi burocrati della Ue, vincolati dalle norme d’una vera, grande comunità politica.

Ospita anche il capo di Vox, erede del franchismo golpista, nemico del leader spagnolo che pure potrebbe aiutarci nelle trattative Ue. Qualche anima buona avrà sconsigliato di invitare il sodale magiaro, ostile alla stessa Ucraina che Meloni con entusiaste parole sostiene. Mai sapremo chi l’invito l’ha rifiutato, oltre alla vituperata Schlein, rea di rifuggire dalle smancerie meloniane. Magari von der Leyen, invitata, avrà pensato bene di non mischiarsi con figure simili; certo nessuno ce lo dirà.

Meloni è una grande illusionista, perché occulta allo sguardo quel che pure c’è. Sorvoliamo sul sostegno del miliardario pazzoide; generoso di parole per Meloni, si guarda bene dall’investire in Italia, meglio la Germania o la Francia, l’ha qui scritto Andrea Malan.

Francia e Germania vogliono abolire il diritto di veto Ue su tasse, politica estera e altro; dovevamo esserci anche noi, ma il ministro Antonio Tajani s’è sfilato, certo d’accordo con lei. Di questo doveva parlare una vera statista, ma Meloni non ne ha la statura, e non si parla di misure fisiche. Come Macbeth, ha il terrore che gli alberi della foresta di Montecitorio possano muoversi.

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