Il color blu notte – o blu Fratelli d’Italia – è il perfetto sfondo per l’intervento all’assemblea di FdI della premier Giorgia Meloni, per un giorno tornata ad essere prima di tutto presidente del suo partito.

Sede blindata nel cuore di Roma, quattrocento posti a sedere e nessun giornalista ammesso, le parole dei suoi quaranta minuti di intervento diventano comunque immediatamente pubbliche e i toni ricordano quelli utilizzati nel primo consiglio dei ministri dopo la pausa estiva.

Ecco il senso dell’assemblea: solo una chiamata a raccolta, per riportare i suoi alla giusta concentrazione.

I nemici

Ieri nella sala in Piazza di Spagna come qualche settimana fa a palazzo Chigi, Meloni ha deciso che il miglior attacco è la difesa. Anche per questo è stato meglio non lasciare entrare la stampa, che nel discorso di Meloni è finita sul banco degli imputati insieme all’opposizione. I giornalisti sono stati accusati di aver parlato male della sorella Arianna, neo nominata alla guida della segreteria politica del partito e che nemmeno ieri ha preso la parola, «militante da quando aveva 17 anni, sempre penalizzata dal fatto di essere mia sorella».

Secondo Meloni, si è voluto confondere «volutamente e strumentalmente» un ruolo organizzativo con quello di segretario di FdI, «solo che da noi il segretario è una figura che non esiste» ma esiste solo il presidente, che è appunto Giorgia. E poi ancora l’accusa è quella di campagne diffamatorie contro il partito, in cui «ogni singolo dirigente è stato passato in rassegna, spesso perfino i semplici simpatizzanti, alla ricerca del niente». Insomma, «fango gratuito perfino sui familiari, con inchieste durate mesi su amici e parenti, la mia storia personale è stata passata in radiografia praticamente dal giorno in cui sono nata».

Ma alla fine «è stato un boomerang», secondo la premier, che ha rivendicato anche la scelta di assegnare il coordinamento della comunicazione al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari dopo la fuoriuscita del giornalista Mario Sechi con una battuta, «chi ci dovevo mettere, Formigli?». Eppure, un giornalista invece che un sottosegretario politico con funzioni di governo avrebbe creato meno confusione.

Accanto alla stampa, la rabbia di Meloni si è poi riversata contro l’opposizione: «Mi fa abbastanza arrabbiare vederli esultare a ogni minima difficoltà dell'Italia. Nell'ultimo trimestre il nostro Pil ha avuto una leggera contrazione e loro hanno esultato come per un gol alla finale dei Mondiali». La premier li bolla come «gente che tifa contro l'Italia» anche se «siamo in una congiuntura economica difficile, ma abbiamo raggiunto alcuni record, di occupati e di contratti stabili. E le stime del Pil italiano, con tutta la revisione, sono al di sopra della media europea». Critiche ingiustificate insomma, quelle al suo governo.

L’obiettivo della premier è quello di ricompattare i ranghi, chiudendo a testuggine il partito per prepararlo alla tempesta che si scatenerà, sia in vista delle elezioni europee che quando comincerà davvero la fase di approvazione della legge di Bilancio. Dove, al netto delle roboanti promesse elettorali, non troveranno spazio moltissimi degli annunci degli ultimi mesi: i soldi sono pochi e la fase economica difficile, anche nei rapporti con l’Ue. «Il dibattito politico sarà ancora più feroce, gli attacchi si moltiplicheranno, le trappole e i tentativi di disarcionarci anche», ha spiegato ai suoi.

Eppure, nella sua sindrome da accerchiamento la premier ha scelto di ritornare proprio alle parole di un anno fa e ha ripetuto – come già allora aveva indirettamente risposto a Silvio Berlusconi – «il nostro vantaggio è di non essere ricattabili, di poter rimanere onesti», a differenza di chi prima di lei avrebbe ceduto «alle lusinghe e agli interessi dei lobbisti che per anni hanno condotto le danze nelle istituzioni della Repubblica». Poi via al dibattito, con interventi di ricompattamento e orgoglio meloniano.

Le tappe del governo

Tra la rabbia e la difesa dei suoi più stretti collaboratori, Meloni ha faticato a trovare parole di entusiasmo in vista dei prossimi mesi. Anzi, ha preannunciato una manovrà economica che sarà «la vera sfida» e con «risorse limitate» per colpa di chi la ha preceduta. In questo passaggio il riferimento indiretto agli alleati si è fatto chiaro: «Non siamo permeabili a pressioni» e «il peso che tutti insieme abbiamo sulle spalle è talmente grave da non consentirci di sprecare energie in eventuali atteggiamenti egoistici di qualsiasi genere». Poi ha confermato che «sarà l’anno delle grandi riforme e del piano Mattei», con soluzioni «strutturali» per il contrasto all’immigrazione irregolare.

I riferimenti sono gli stessi già pronunciati davanti ai ministri in cdm a inizio settembre, come anche l’avvertimento in vista della finanziaria.

Pochissimo lo spazio, invece, per caricare i suoi in vista delle scadenze europee che, anzi, vengono descritte come ulteriore occasione di attacchi. «Abbiamo raggiunto obiettivi impensabili in Italia, potremo farlo anche in Europa», è il passaggio nodale, confermando che anche FdI subirà una riorganizzazione, non a livello nazionale ma con i rinnovi degli organi a livello locale, con congressi territoriali.

Di congresso nazionale, evidentemente, nessun accenno: del resto sarebbe impensabile quando la presidente del partito è anche la premier e anche l’unica timida opposizione interna, rappresentata dalla compagine romana che fa capo a Fabio Rampelli, sembra aver rinunciato a chiederla. Il resto del partito, dirigenti compresi, si è stretto intorno alla leader carismatica: dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè al sottosegretario Andrea Delmastro. Tutti a giurare fedeltà alla premier e confermare l’unità del partito. 

Eppure, anche dopo un anno di governo, Meloni ha deciso che la sua posa più efficace è quella dell’underdog e ha costruito la sua narrazione nel contrasto del suo governo degli onesti, contro i suoi predecessori oggi all’opposizione che scommettono contro il futuro dell’Italia. A un anno di distanza da quando con questi argomenti ha conquistato il paese, qualcosa però sta iniziando a cambiare. I sondaggi di technè mostrano il calo di FdI, che da giugno a oggi è passato dal 30 per cento di consenso al 28,4 per cento e i prossimi mesi rischiano di amplificare l’eco delle promesse di inizio legislatura non ancora mantenute.

Per questo Meloni sta sulla difensiva e non promette più nulla, ma si culla nella solidità numerica della maggioranza sulle note di Lucio Battisti con Non sarà un’avventura, augurandosi che non lo sia nemmerno il governo.

 

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