Si avvicina l’apertura del gazebo delle primarie e si alza la temperatura fra i primi due votati ai circoli di partito, Stefano Bonaccini e Elly Schlein. E arrivano le polemiche per profilarsi meglio, con la speranza di uscire dalla trappola del «tutti uguali». All’apparenza, ma solo all’apparenza, è successo ieri quando i sostenitori della deputata hanno attaccato duramente il presidente dell’Emilia-Romagna che, in mattinata, su La7, è – a loro parere – troppo generoso con la presidente del Consiglio: «Giorgia Meloni non è una fascista», dice a Coffee Break, «è una persona certamente capace, ha idee molto lontane dalle mie, dovrà dimostrare di essere all’altezza di guidare un governo come quello italiano» ma «Quando critichiamo dico a tutti: usiamo misura nelle critiche perché sono appena arrivati», «ci vuole misura nella critica, anche se di critiche se ne possono fare».

Serve chiarezza, compagni

Il primo a reagire è l’ex ministro Andrea Orlando: «Mettiamoci d’accordo, compagni e amici. Se sosteniamo che la manovra di bilancio incentiva l’evasione, colpisce i poveri e non affronta la crisi salariale; se diciamo che il decreto Ong è contro la Costituzione, i trattati internazionali e il senso stesso di umanità; se diciamo che esponenti del governo, coperti dalla premier, si sono resi responsabili di comportamenti gravi, come si fa a dire contemporaneamente che sono capaci o che sono meglio di quanto ci aspettassimo?».

Nel pomeriggio Elly Schlein, davanti ai corrispondenti della sala stampa estera di Roma, rincara: «Meloni non ha trovato la postura nel nuovo ruolo. Lo credo dal primo discorso che ha fatto alla Camera dove sembrava ancora la leader dell’opposizione e non la prima premier donna», il suo «è un governo che sta facendo male e che in Europa rischia di isolarci rientrando tra le braccia del gruppo Visegrad». Per essere più chiara, alla fine della conferenza stampa ci torna su: «Non sono d’accordo con Bonaccini».

Non è d’accordo anche un altro ex ministro, Peppe Provenzano: «Il governo Meloni è il peggiore di sempre. Nel Pd c’è chi pensa di no?». Meglio così, ragiona, «le primarie serviranno a fare chiarezza».

Fair play o scontro

Sembra una polemica figlia soprattutto della rincorsa della seconda piazzata per riacciuffare il primo nei congressi di circolo. E invece nel non detto c’è qualcosa di più. O nel detto a mezza bocca. A leggere bene le parole di Orlando infatti si coglie anche un altro bersaglio. Perché a dire che Meloni «è meglio di quanto ci aspettassimo» è in realtà Enrico Letta, in una conversazione con il New York Times rimbalzata sui media italiani. Nell’articolo il segretario uscente aggiunge anche che la presidente italiana ha abbandonato la sua aggressività verso l’Unione Europea, e ora «segue le regole» ed evita di «commettere errori».

A questo punto la polemica si avvita. Le parole di Orlando fanno infuriare il segretario, che fa subito diffondere il testo originale dell’intervista, accompagnato da una nota attribuita a “fonti” del Nazareno: «Dispiace che Orlando travisi completamente le dichiarazioni», «Il segretario si è limitato ad esprimere al quotidiano statunitense un giudizio positivo, che peraltro conferma, sul fatto che la premier Giorgia Meloni non ha infranto le regole di bilancio e le regole dell’euro, a differenza di quanto negli anni aveva detto di fare». L’ufficio stampa di Orlando controreplica: «Dispiace che fonti anonime del Nazareno, che non si sa se parlino a nome di tutto il partito, scambino per polemica una osservazione sul rischio di messaggi contraddittori».

Non finisce qui. A parlare è anche Monica Nardi, portavoce di Letta: «Orlando pretende di dare una carica ideale, di opinione politica, a un banale caso di sciatteria. Se avesse letto per intero l’articolo questa polemica sul nulla ce la saremmo risparmiata. Eviti però di usare capziosamente il segretario ai fini del congresso. Un congresso che fin qui, grazie allo stile dei due candidati, ha fortunatamente risparmiato a tutti i toni e la mancanza di fair play delle passate stagioni».

In realtà il cuore della contestazione di Orlando, il punto esatto a cui sembra puntare è quell’irresistibile pulsione ad accreditarsi come interlocutori di Meloni, legittima, fino al punto però i rischiare di perdere credibilità come avversari.

È una storia già vista, in casa Pd. E di recente: è stata una delle contestazioni che venne, anche dall’interno del Pd, alla campagna elettorale di Letta, quella che portò alla rovinosa sconfitta del 25 settembre. Da una parte il segretario aveva scelto di riconoscere Meloni come interlocutrice politica privilegiata in quanto vero capo della destra, anche quando Fdi era all’opposizione del governo Draghi; con l’obiettivo di indebolire Matteo Salvini ma anche con quello – invece clamorosamente mancato – di polarizzare lo scontro fra sinistra e destra. Era il Letta dell’«allarme democratico». Dall’altra però lo stesso segretario si concedeva gesti di fair play giudicati eccessivi: come toni troppo soft alla festa di Atrejus, nel dicembre 2021.

La sinistra Pd accusa di fatto Bonaccini di voler percorrere la stessa strada. «Noi pensiamo a costruire l’alternativa», attacca Francesco Boccia, capo della mozione Schlein, «gli altri forse pensano a costruire buoni rapporti. Il nostro giudizio su Meloni è esattamente parallelo al giudizio molto negativo sulle scelte politiche di questi mesi». Che sono, per Anna Rossomando «decreto rave, una manovra a dir poco iniqua, la copertura del gravissimo caso Donzelli-Delmastro, la demolizione di Opzione donna. Francamente l’indulgenza di Bonaccini con Meloni non convince».

In serata anche Bonaccini chiarisce le sue parole, per evitare «polemiche strumentali»: «Ho detto che Meloni è parsa una persona capace perché ha tenuta la posizione sul patto Atlantico». Ma c’è il veleno nella coda: «Io la destra preferisco batterla nelle urne, come ho dimostrato. Vorrei che anche altri avessero la priorità di batterla nelle urne e non con le interviste sui giornali».

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