Giorgia Meloni sa che la tre giorni di assemblea programmatica di Fratelli d’Italia, in programma fino a domenica a Milano, è la sua occasione per dettare la linea dentro un centrodestra confuso. La prima giornata è tutta per lei: dopo i saluti ufficiali a cui sono invitati anche il sindaco di Milano, Beppe Sala, e il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana e da cui si ricorda anche donna Assunta Almirante, il palco è suo, con più di 4.000 delegati ad ascoltarla. Per più di un’ora di intervento, Meloni racconta la visione di futuro di Fratelli d’Italia, senza mai citare nemmeno una volta la parola «alleati», né gli altri partiti di centrodestra. L’unico connotato politico, ripetuto più volte, è quello del conservatorismo, che ormai è diventato la cifra del partito.

«Ci faremo trovare pronti» a governare, ha detto, spiegando così il senso di una convention che è una prova muscolare: «Abbiamo una classe dirigente all’altezza», snocciola, aggiungendo che FdI ha invitato però anche molti intellettuali d’area ma non organici, come gli ex azzurri Giulio Tremonti e Marcello Pera e l’ex magistrato Carlo Nordio.

La metafora finale che sceglie, rimarcando come FdI cresce e crescerà ancora nei sondaggi, è quella dell’alpinista che sa respirare in vetta perché si è preparato: «Arriveremo su e l’altitudine non ci darà alla testa. L’unica ragione per cui vogliamo arrivare in vetta è perché da lì possiamo guardare più lontano».

Tra un attacco all’«ideologia gender che vuol far sparire le madri» e uno all’«ideologia green» che legherebbe l’economia italiana a quella della «Cina comunista», i bersagli principali di Meloni sono il governo e l’Europa.

Governo ed Europa

Il governo di Mario Draghi, contro cui FdI ha costruito la sua immagine di unica forza d’opposizione, viene attaccato su più fronti: quello della gestione «liberticida» della pandemia con il green pass e quello degli obiettivi di transizione ecologica del Pnrr. La visione meloniana dell’economia, infatti, passa attraverso il «recupero del made in Italy», lo sfruttamento delle risorse energetiche già presenti in Italia e soprattutto la «revisione degli obiettivi del Pnrr: bisogna intervenire sugli effetti della crisi».

Sul fronte politico il rilancio è sul presidenzialismo, con l’annuncio che FdI presenterà una proposta in parlamento per una riforma del sistema costituzionale: «E vedremo chi ci sta davvero o si è riempito la bocca». L’altro fronte su cui Meloni attacca per disegnare il suo profilo alternativo è quello europeo. «Siamo più europeisti di tanti soloni di Bruxelles», è l’esordio, segno di come la transizione nei conservatori europei sia completata. Eppure le critiche sono feroci: «L’Europa si è presentata all’appuntamento con la storia senza una politica estera, senza una difesa, quasi totalmente dipendente sull'energia e le materie prime, impreparata ad affrontare la crisi umanitaria». Per questo la ricetta di Meloni è quella di aumentare la spesa militare al 2 per cento del Pil, «per non essere sudditi della Nato» e la volontà di creare una «colonna europea»: la linea è quella antiamericana del «sulle sanzioni alla Russia non saremo le bestie da soma dell’occidente» e contro le ingerenze statunitensi nella politica estera europea.

L’Ucraina

Il patriottismo meloniano si riversa sull’Ucraina: la guerra diventa l’argomento per contrapporre i «finti profughi» con i profughi veri che scappano dal conflitto di Kiev, strizzando l’occhio a Polonia e Ungheria che per questo avrebbero accolto in modo solidale gli ucraini. La leader di FdI ha rivendicato la scelta di schierarsi immediatamente contro l’invasione e rimarcato il patriottismo di chi «combatte per difendere la propria terra».

Nella retorica meloniana, infatti, il conflitto bellico è una sorta di spartiacque per i nuovi assetti mondiali: «Se l’Ucraina capitolasse, il vero vincitore non sarebbe la Russia di Putin, ma la Cina capital-comunista di Xi Jinping».

Lo spettro che sventola dal palco, infatti, è il rischio del «giogo comunista» di cui la sinistra non si renderebbe conto. Il discorso finisce in scenografia e così Meloni cala le sue carte per il futuro: Europa confederale, occhi puntati su palazzo Chigi sono due sfide che sembra pronta a combattere anche senza gli alleati, che mai vengono citati tanto quanto vengono omessi i nomi degli avversari politici. Il mix è quello del patriottismo con le parole chiave di madre e famiglia, insieme al rilancio dell’economia e del lavoro autonomo: non a caso proprio Milano è stata scelta come sede della convention, segno che il nuovo obiettivo elettorale di FdI è la conquista di elettori storicamente leghisti e forzisti.

I governatori a distanza

L’unica concessione indiretta al dibattito politico attuale riguarda la delicatissima partita delle prossime elezioni regionali. Sul palco per i saluti, infatti, sale il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci: civico ma di tradizione del Movimento sociale che FdI intende ricandidare all’Ars anche contro il volere degli alleati. Averlo sul palco è il segno inequivocabile del patto di ferro, sancito da Musumeci che «offre idealmente» il suo movimento civico a Meloni, «per ricavarne energie utili a dotare l’Italia di una grande destra moderna».

I segnali vengono colti da Attilio Fontana: il governatore lombardo, chiamato per i saluti, sa che se saltasse l’accordo in Sicilia il prossimo a venire messo in discussione sarebbe il suo bis e dal palco lancia segnali distensivi, ricordando «la consuetudine di lavorare insieme, senza mai dividerci nonostante i momenti difficili» e rimarcando la compattezza dei consiglieri regionali. Accenni non casuali, che però difficilmente basteranno a risolvere il conflitto a bassa intensità tra Lega e FdI.

Nei prossimi tre giorni si scriverà il “programma conservatore”, poi il 1° maggio Meloni chiuderà il congresso con il discorso conclusivo: Matteo Salvini ha mandato i suoi auguri e continua ad auspicare «unità», ma sa bene che Meloni non rimarrà più un passo indietro.

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