Un assedio quotidiano degli avversari interni per i dossier lasciati in sospeso. I riflettori puntati dall’Unione europea, principalmente sul Mes e sul Pnrr. Gli indicatori economici che non virano in direzione positiva. E l’evanescenza di una classe dirigente più assetata di accentramento del potere che attenta alla soluzione dei problemi. Tutto farebbe pensare all’inizio del declino del governo, la rapida evoluzione verso il precipizio. Il fuggi fuggi generale dal quartier generale di Palazzo Chigi. E invece il fortino eretto da Giorgia Meloni regge a ogni urto, rintuzza gli attacchi. È isolata e accerchiata dagli stessi alleati, ma la leadership si consolida: è premiata la strategia dell’underdog che sfida tutti. Anche perché la prima barriera, quella più preziosa ed efficace, è un’informazione mainstream battagliera, a spada tratta al fianco della presidente del Consiglio. Per approfondimenti basta vedere mezz’ora di un telegiornale Rai.

Alta fiducia

Fatto sta che la fiducia nei confronti della premier è alta in tutti i sondaggi. Sopra il 50 per cento secondo Ilvo Diamanti su Repubblica. Solo Mario Draghi la precede, ma l’ex presidente della Bce è avvantaggiato da un fatto oggettivo: l'allontanamento dalla vita politica lo rende più simpatico rispetto agli altri. Tra i leader ancora sulla piazza, Meloni non ha rivali. E non solo: per un italiano su due il suo governo è stabile, stando all’analisi di Alessandra Ghisleri su La Stampa. Le buone notizie per la premier non finiscono qui: Fratelli d’Italia è saldamente il primo partito, sopra il 29 per cento. Un vantaggio di almeno 9 punti sul Pd e un consenso che triplica (anzi di più) quello degli alleati.

La luna di miele con gli elettori continua, anche in assenza di una “misura bandiera” capace di fidelizzare l’elettorato. Esempi? Il Conte gialloverde aveva varato il reddito di cittadinanza, caposaldo del programma del Movimento 5 Stelle, prima ancora Matteo Renzi aveva introdotto il famoso bonus di 80 euro per mettere un po' di soldi aggiuntivi in busta paga. Andando a ritroso, Romano Prodi aveva tagliato il cuneo fiscale. Meloni dalla sua può contare sul decreto anti-rave, la cui utilità si è persa nelle nebbie, e piccoli interventi economici: lo sconticino sul costo del lavoro e il lieve incremento della soglia della flat tax per gli autonomi. Una manutenzione dell’esistente che non entra nell’immaginario collettivo. Le promesse principali restano frustrate. Per esempio il presidenzialismo, per cui FdI aveva avviato una campagna di raccolta firme per un referendum popolare. Iniziativa data per dispersa da mesi.

Eppure questa luna di miele di Meloni è più duratura di altre: dall’insediamento di ottobre a oggi l’unico piccolo contraccolpo negativo si è intravisto dopo la tragedia di Cutro. Oltre i sondaggi ci sono i risultati delle elezioni ad avvalorare la tesi del fortino-Meloni che resiste: alle amministrative di maggio, il centrodestra ha confermato la tendenza emersa alle Politiche del 2022, alle regionali in Molise non c’è stata partita. Nemmeno la vicenda della ministra Santanchè ha sfiorato la presidente del Consiglio, avallando il ragionamento del vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli: «I cittadini italiani sono sufficientemente distaccati da questo episodio». Scandalizza, ma non lambisce il consenso.

Assalto leghista

La resistenza del fortino-Meloni, nonostante i fatti, è un grosso guaio pure per gli alleati del centrodestra. Soprattutto per la Lega, visto che Forza Italia è concentrata sulla propria sopravvivenza. C’è Matteo Salvini che prova a studiarne una al giorno per recuperare qualche voto: un attacco giornaliero.

Le Europee sono il suo orizzonte di gloria, che possono tramutarsi nella peggiore disfatta. Ed ecco quindi che opta prima per l’irrigidimento sul Mes, con lo scopo di mettere in affanno la leader di Fratelli d’Italia, poi sceglie di rifilare delle punzecchiature sul caso-Santanchè, con le richieste di chiarimenti a giorni alterni per marcare una distanza. Il numero uno della Lega ha cercato di mettere in agenda i temi più cari alla Lega, tra questi il superamento della legge Fornero per le pensioni e l’azzeramento del canone Rai. Sul primo argomento, rischia di dover accettare un compromesso al ribasso. Sul canone che finanzia il servizio pubblico potrebbe andare pure peggio, con un “nulla di fatto totale". Salvini ha ottenuto solo una magra consolazione: la legge per il ponte sullo stretto, che sta cercando di intestarsi in ogni modo. Ma il cuore degli elettori non si scalda con un progetto che ormai annoia solo a sentirne parlare.
E se a Salvini non si perdona niente, la leader blindata nella sua torre d’avorio gongola. L'isolamento diventa un pezzo fondamentale della narrazione mediatica. Non che sia un esperimento pionieristico, in passato quasi tutti i leader hanno cercato di accreditarsi come la vittima di non meglio identificati poteri forti, della stampa nemica, degli speculatori internazionali e via con tutto l’armamentario tipico del vittimismo dei potenti.

Braccio mediatico

L’operazione sta riuscendo, almeno per ora, alla premier in carica, forte dell’instancabile supporto dei media mainstream: l’occupazione capillare dell’informazione in Rai e la (ovvia) benevolenza di Mediaset, grazie al sodalizio cementato con Marina Berlusconi, sono una sorgente di consenso, che crea un doppio rivolo: lo spin della presidente del Consiglio osteggiata dal mondo intero, che nei fatti gode di un racconto popolare molto più positivo di quanto voglia far immaginare. Niente di nuovo.

Il modello Berlusconi, nel senso di Silvio, riveduto, corretto e addirittura potenziato, visto che Meloni non ha un impero mediatico tutto suo sulle spalle. Lo sta costruendo con la politica, incluso il polo editoriale di destra di Antonio Angelucci, che porta in dote Il Tempo, Libero e ora Il Giornale. Ecco spiegata l’allergia alla stampa che non sia quella di area, il tentativo di aggirare le domande vere. Uno dei miti fondativi del governo è l’assenza di Meloni alle conferenze stampa dopo i consigli dei ministri. 

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