Il secondo giorno di Consiglio europeo è quello che di fatto rimanda ancora la chiusura dei negoziati sul Patto di stabilità. La premier Giorgia Meloni da Bruxelles ha fatto capire che i negoziati sono ben lontani dall’essere conclusi, e la sua maggioranza si è compattata dietro a lei, dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti al leader della Lega Matteo Salvini.

La linea dell’Italia è quella di non considerare l’Ecofin del prossimo 20 dicembre come la scadenza definitiva in cui risolvere i molti problemi ancora sul tavolo. A chi le ha chiesto se davvero è pronta a mettere il veto, Meloni ha risposto dicendo che «non posso dare il mio ok a un Patto che non io, ma nessun governo italiano potrebbe rispettare. Sarebbe ingiusto e non utile per noi». Tuttavia ha smorzato i toni sul veto, ribadendo che l’obiettivo è quello di trovare una sintesi virtuosa attraverso il dialogo con tutti i paesi: «Non chiediamo una modifica del Patto per buttare soldi dalla finestra, ma per fare quello che l’Europa si è data come strategia: investimenti, senza però essere colpiti».

Anche Salvini, che nell’ultimo mese ha sempre colto l’occasione per fare il controcanto alla premier, in questo caso si è allineato. «Se ci saranno le condizioni, il governo italiano firmerà. Se sarà una trappola, no», è stata la posizione del ministro dei Trasporti, che ha detto di avere piena fiducia nella premier, concedendo quindi una tregua al botta e risposta nei tanti altri dossier aperti, come quello sul Mes.

Su questa linea continua a esserci convergenza anche tra la premier e il ministro Giorgetti, che si stanno muovendo in sinergia nel tentativo di prendere tempo. Il prossimo Ecofin, che dovrebbe essere quello risolutivo, avverrà in videoconferenza, e il ministro, dal palco di Atreju, ha detto che le possibilità di approvare il Patto sono «scarse». Giorgetti ha anche contestato il fatto che un accordo di questa delicatezza si possa trovare a distanza: «Non ho niente contro le videoconferenze, ma che io vada a chiudere un accordo che condiziona l’Italia per i prossimi 20 anni in videconferenza anche no, grazie» è stato il commento lapidario che Meloni ha subito spalleggiato: «Le trattative di persona sono più utili».

La sponda francese

Lei stessa infatti ha approfittato della due giorni a Bruxelles per cercare sponde utili con gli altri leader europei, e un asse che sembra essersi rinsaldato è quello con Emmanuel Macron. Se nei mesi scorsi i rapporti con la Francia erano stati turbolenti, ora sembrerebbe emergere una convergenza di interessi. Tanto che, nella foto notturna del tavolo con Macron e Olaf Scholz, Meloni ha detto che l’incontro informale era iniziato come esclusivamente col presidente francese. «Abbiamo affrontato il tema del Patto di stabilità e tutti gli altri dossier sui quali pensiamo si possa costruire una convergenza con la Francia. E sul Patto ci sono diverse convergenze su interessi comuni», ha confermato Meloni. Anche Macron ha spiegato che sono in corso discussioni «con Germania e Italia per migliorare il testo» in vista dell’Ecofin. Proprio questa convergenza tra Francia, Germania e Italia è ormai uscita allo scoperto: tutti e tre, per ragioni diverse, sembrano interessati a prendere tempo, anche con l’ipotesi di rinviare la chiusura della partita a gennaio.

A complicare il fronte italiano sono però arrivati anche i nuovi numeri della Banca d’Italia, che ha fissato un aumento del debito delle amministrazioni pubbliche, ora arrivato alla cifra record 2.867,7 miliardi, ma anche un aumento dell’11 per cento delle entrate tributarie rispetto al 2022, ora pari a 40,4 miliardi. Il dato più preoccupante, però, è la revisione al ribasso delle stime sulla crescita, che passano dallo 0,8 per cento allo 0,6 per cento per il 2024, mentre per quest’anno la previsione rimane fissa allo 0,7 per cento.

Il Mes

Il punto stampa di Bruxelles è stato anche l’occasione per Meloni di provare a uscire dall’angolo rispetto al dibattito sulla ratifica del Mes. Per la prima volta la premier ha chiarito che il «link» tra Mes e Patto di stabilità «lo vedo solo nel dibattito italiano. Non c’è una dimensione di ricatto, nel dire “se non mi dai questo non faccio questo”», ha detto, smentendo le ricostruzioni secondo cui la strategia di Fratelli d’Italia sarebbe quella di ratificare il Mes anche contro il no secco della Lega solo dopo aver chiuso con qualche concessione il Patto di stabilità. Su questo, Salvini non ha fatto passi indietro, ribadendo da Milano che «è uno strumento inutile» e «non vedo perché un disoccupato, un precario, un commerciante, un pensionato italiano debba metterci dei soldi per salvare una banca tedesca». Il problema, per ora, è rimandato a gennaio, quando forse anche gli accordi sul Patto di stabilità saranno chiusi e allora la maggioranza dovrà capire come costruire una posizione comune e se ci sarà margine per far uscire la Lega dal suo arroccamento.

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