Gli occhi di tutta Europa sono rivolti a Bruxelles, per un Consiglio europeo iniziato in un clima più che mai teso. All’ordine del giorno ci sono la discussione sul bilancio, ma soprattutto questioni di politica estera. Ieri sera, infatti, è arrivato il via libera all’apertura dei negoziati per l’adesione all’Ue di Ucraina e Moldova e lo status di candidato alla Georgia. In realtà, però, al centro di ogni dibattito e incontro bilaterale, il tema di fondo che agita la politica europea è la revisione del Patto di stabilità, che verrà discusso al prossimo Ecofin del 20 dicembre in videoconferenza, ma che di fatto ha influenzato sin dalla vigilia la due giorni di consiglio.

Proprio la rinegoziazione del Patto di stabilità è anche la questione fondamentale con cui la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è arrivata nella capitale europea preceduta dall’eco che ha avuto anche all’estero il suo annuncio al Senato di non escludere la possibilità di porre il veto sul Patto, nel caso in cui non soddisfi gli interessi italiani. Nella serata di mercoledì, infatti, Meloni ha incontrato Emmanuel Macron e Olaf Scholz in un meeting informale per cercare la loro sponda nella richiesta di maggiore flessibilità nel calcolo di deficit e debito.

L’incontro è stato rivelato da una foto dei tre seduti a un tavolo, curiosa anche alla luce del fatto che solo il giorno prima Meloni aveva rimproverato il predecessore Mario Draghi per la foto con Macron e Scholz insieme in treno verso l’Ucraina. La real politik, però, ha prevalso anche in Meloni: in corso c’è infatti uno scontro tra i paesi che chiedono di investire maggiori risorse e i cosiddetti “frugali”.

Il rischio che Meloni non riesca a sbloccare il tavolo sul Patto di stabilità è più che concreto e il suo nervosismo è emerso nei suoi interventi alle camere. Anche per questo la premier avrebbe messo le mani avanti ipotizzando pubblicamente il veto, ma anche facendo capire di aver già ottenuto molto, strappando uno “sconto” per i prossimi tre anni, ottenendo che nel nel triennio 2025-202 si tenga conto degli interessi sul debito pubblico nel calcolo del rapporto deficit/Pil.

Il Mes

Nel mezzo di questo complesso negoziato europeo e in piena fase di approvazione della legge di Bilancio, il dibattito pubblico è però infiammato anche dalla mancata ratifica della revisione del Mes, il trattato internazionale che disciplina come si attiva il cosiddetto meccanismo “salvastati”. Il governo ha deciso di rimandare ogni discussione a gennaio e Meloni sembrerebbe ancora convinta di poter utilizzare il via libera al Mes per negoziare più flessibilità nel patto di Stabilità.

Ogni mossa, però – ammesso che gli altri stati siano disposti a piegarsi al do ut des – è condizionata dal clima ormai apertamente elettorale in vista delle Europee. Dentro la maggioranza il più dinamico è Matteo Salvini, che ha innescato una competizione a distanza con FdI, collocando la Lega sul no secco alla ratifica del Mes, a prescindere dall’esito dei negoziati sul Patto di stabilità, lasciando dunque a Meloni l’onere e anche il costo politico di un possibile sì alla ratifica.

Anche per questo Meloni ha scelto la linea del rimpallo di responsabilità sul Mes e dalla Camera ha accusato l’ex premier Giuseppe Conte di aver firmato il trattato «col favore delle tenebre». Cioè quando già il governo Conte 1 era dimissionario con un’operazione last minute al limite della sgrammaticatura istituzionale.

A sostenere la sua posizione, ha anche sventolato un fax sottoscritto dall’allora ministro Luigi Di Maio, oggi inviato dell’Ue per il Golfo. L’attacco, però, rischia di trasformarsi in un boomerang per la premier e in un gancio favorevole per Di Maio, che è ritornato sulla scena politica e in televisione a Piazzapulita per mostrare un “contro fax” che dimostrerebbe che nulla è avvenuto in segreto ma che tutto era previsto con un accordo in Eurogruppo poi completato durante il Conte 2.

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