Dopo i tumulti leghisti degli ultimi giorni su terzo mandato e posizioni poco nette sulla Russia, è arrivata forte e chiara la risposta di Giorgia Meloni: le intemperanze di Matteo Salvini verranno isolate. Il messaggio è stato veicolato, guarda caso, dal palco di Forza Italia addobbato per il primo congresso post Silvio Berlusconi, che si prepara a incoronare come segretario Antonio Tajani.

Meloni ha preso la parola con un videomessaggio e ha di fatto incoronato il suo ministro degli Esteri, «capace di raccogliere l’eredità politica» di Berlusconi e di «essere un punto di riferimento per una parte significativa dell’elettorato di centrodestra». Poi ha affondato il colpo, guardando alle europee. «Anche se apparteniamo a famiglie politiche diverse gli obiettivi sono comuni», ha detto tornando a tendere la mano al Ppe, di cui Forza Italia fa parte e a cui i Conservatori europei, presieduti da Meloni, da tempo stanno guardando. Isolando ulteriormente la Lega, che invece fa parte del gruppo Identità e democrazia. «Siamo fieri di voi, siete la forza più europeista d’Italia», ha detto il presidente del Ppe, Manfred Weber, rivolgendosi agli azzurri.

Infine, Meloni ha toccato il punto su cui FI è in sintonia con lei, a differenza dell’alleato leghista: il premierato «madre di tutte le riforme», che era – pur se con altri contorni – uno dei progetti di Berlusconi. La sintonia con Tajani è palpabile e rafforza entrambi. La premier sa di avere dalla sua una forza politica che la copre al centro e tiene uniti alcuni fili europei, il leader di FI è cosciente che in questo momento il partito può solo giovarsi della competizione tra FdI e Lega, e il modo migliore per farlo è appoggiare Meloni. «Siamo il porto sicuro degli elettori e puntiamo al 10 per cento», è l’auspicio del vicepremier.

Spente le luci dell’Eur su un congresso dagli esiti annunciati anche nei quattro vicesegretari (Roberto Occhiuto, Deborah Bergamini, Alberto Cirio e Stefano Benigni), si accendono invece i fari sulle regionali in Sardegna. Domani c’è la prima competizione elettorale del 2024. Un test importante per la leadership di Meloni e soprattutto in vista delle prossime scadenze, sempre regionali, prima del voto europeo di giugno.

In Sardegna la premier ha inaugurato il nuovo metodo di scelta dei candidati: archiviata la ricandidatura assicurata per gli uscenti, ora la linea di FdI è quella di riequilibrare la distribuzione dei territori sulla base dei nuovi rapporti di forza dentro la coalizione.

Le altre regioni

Nessuno dei tre partiti di governo si è ancora formalmente fatto avanti per proporre un suo candidato a contendere le regioni rosse presto al voto nel 2025: Emilia-Romagna, Campania e Puglia. Tra i meloniani qualche timido nome ogni tanto viene avanzato, come quello del ministro Gennaro Sangiuliano per la Campania o il viceministro Galeazzo Bignami per l’Emilia-Romagna. Nulla di serio, però. Grandi manovre, invece, riguardano le regioni già governate dal centrodestra, in cui è in corso una sorta di ruba-bandiera tra le tre forze che compongono la coalizione. Dopo la Sardegna toccherà, a fine aprile, alla Basilicata, dove l’uscente Vito Bardi della scuderia di Forza Italia sente forte il fiato sul collo dei leghisti, che chiedono già un risarcimento per l’avvicendamento sardo.

Qui la Lega punterebbe sul suo coordinatore regionale, Pasquale Pepe. La mediazione, benedetta anche da FdI, potrebbe essere su un nome civico ma vicino alla destra come il prorettore della Luiss, Francesco Di Ciommo. «Bardi è il miglior candidato», ha ripetuto Tajani, che però sa che la decisione spetta al tavolo del centrodestra e Forza Italia ha cose ben più importanti da dover presidiare.

Anche il Piemonte, infatti, andrà al voto, e il segretario intende blindare il bis di Cirio per non perdere l’ultima regione del nord che guida. Anche per questo ne ha favorito la nomina a vicesegretario. In questo senso coltivare ottimi rapporti con Meloni sarà fondamentale. FdI intende governare una grande regione del nord e più l’obiettivo sarà il Veneto leghista meno Cirio avrà di che temere. Il Veneto, infatti, è il boccone pregiato su cui puntano i meloniani, che hanno già due potenziali candidati in corsa: Luca De Carlo e Elena Donazzan. Il grande tema, però, rimane ancora uno: la polemica sollevata dalla Lega intorno a terzo mandato per gli uscenti è tutt’altro che chiusa.

Luca Zaia, ma anche Giovanni Toti in Liguria, hanno fatto capire di essere alla ricerca di un escamotage tecnico – per esempio una legge regionale – per rendere possibile la loro ricandidatura, visto che la Costituzione assegna la competenza sulle leggi elettorali regionali alle regioni. La strada è impervia, ma la Conferenza delle regioni ha chiesto già un incontro col ministro Roberto Calderoli. Questo cambierebbe le carte in tavola in vista del 2025, ma per riuscirci bisogna correre. E FdI e FI hanno già espresso il loro no.

Il risiko, però, è ancora più complicato. Nel mezzo ci sono anche l’Abruzzo e l’Umbria, oggi governate rispettivamente da FdI e dalla Lega. In Abruzzo si voterà in marzo e il candidato ufficiale è l’uscente Marco Marsilio, uomo dell’inner cicle di Meloni, che lo considera inamovibile e non ha voluto nemmeno aprire il tavolo per discutere del suo bis. La Lega si aspetta lo stesso trattamento per Donatella Tesei. Il suo nome, però, non è mai piaciuto a Meloni e gli occhi della leader sarebbero puntati anche sull’Umbria, dove ha cambiato tutti i vertici regionali del partito e ha arruolato l’assessora alla Cultura e al Turismo, Paola Agabiti, passata a FdI il 6 febbraio. Originariamente eletta come civica e sponsorizzata anche da Angelo Mellone, direttore del Day time della Rai nonché di Umbrialibri, i suoi movimenti sotto traccia non sono passati inosservati. Saranno tempi difficilissimi al tavolo di coalizione, che non si riunisce da un po’ ma che dopo il voto sardo dovrà per forza ricomporsi.

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