Dopo la tempesta del ritorno del redditometro, Giorgia Meloni ha deciso di tirare il freno a mano: «Ho incontrato il viceministro Leo, ci siamo confrontati sui contenuti del decreto ministeriale e siamo giunti alla conclusione che sia meglio sospendere» il provvedimento «in attesa di ulteriori approfondimenti». Un passo indietro in piena regola, quindi ancora prima del consiglio dei ministri di domani in cui Maurizio Leo avrebbe dovuto prendere la parola per spiegare il «superamento» dello stromento. «Nessun Grande fratello fiscale sarà mai introdotto da Fratelli d'Italia, dal centrodestra, da questo governo», ha scandito Meloni.

Dopo 24 ore in cui la linea ufficiale di FdI era stata quella del «Non è un ritorno al redditometro, è stato un fraintendimento», mantra ripetuto da tutti i parlamentari, è la premier a prendere in mano la situazione. Uno stop necessario per non prestare il fianco allo stillicidio di polemiche da parte dei suoi stessi alleati di Lega e FI, che hanno avuto gioco facile nell’attaccare un’iniziativa che veniva dalle file più vicine a Meloni.

Lo stesso Leo ha tentato di resistere, correndo ai ripari con un’intervista chiarificatrice sul Corriere della Sera in cui definiva la misura un atto dovuto, «un decreto attuativo previsto da una norma di legge», e così «si rendere il redditometro uno strumento che viene incontro ai contribuenti onesti». Tradotto, si tratta comunque di modifiche al redditometro, che altrimenti avrebbe dovuto essere abrogato per legge. Questo, però, «dà certezze ai cittadini» perché «prevede un doppio contraddittorio tra fisco e contribuente». Insomma, effettivamente il redditometro esiste ma – secondo Leo – non si poteva fare altrimenti con un decreto attuativo atteso dal 2018, che in teoria dovrebbe correggere lo strumento e renderlo più garantista.

Certo è che anche solo la parola e il fatto che la questione sia emersa proprio a due settimane dal voto europeo ha guastato la giornata a Meloni e l’ha costretta a capitolare. Del resto, se c’è un tema da non toccare in campagna elettorale è quello del fisco e delle tasse.

Buona fede?

Secondo fonti di FdI, la tesi è che la premier fosse all’oscuro di tutto proprio perché Leo – dirigente a lei molto legato – era in buona fede nel considerare il decreto attuativo un passaggio meramente tecnico, di cui non valeva la pena di informarla. Anche perché, formalmente, la firma sul testo è del 7 maggio e la questione è emersa solo ora perché è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ora, dunque, spetterà agli uffici capire come «sospendere tutto», visto che il testo è ormai uscito. Quel che è certo è che la questione è esplosa in mano a FdI, che ne ha sottovalutato la portata, con Leo convinto di stare solo rispondendo a una sollecitazione della Corte dei Conti («senza questo elemento a suo dire si pregiudicava l’accertamento sintetico dei redditi», ha spiegato Leo), senza particolari rilievi politici.

Nel silenzio del titolare dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, anche lui apparentemente spiazzato dal contenuto del decreto attuativo, invece gli alleati di FdI hanno cavalcato il tema. Sia la Lega che Forza Italia hanno martellato per il secondo giorno di fila contro la misura, tutta prodotta nella cerchia ristretta di FdI, con l’obiettivo di mettere all’angolo il partito della premier. Se FdI, pur senza fare nomi di maggioranza, ha parlato di «sciacallaggio elettorale», è anche vero che Meloni ha dovuto arrendersi all’evidenza: cavillare sul fatto che si tratta di un «superamento» della misura non è facile in campagna elettorale. Meglio fermare tutto, zittendo così anche gli alleati.

© Riproduzione riservata