La calata del centrodestra in Abruzzo ha visto la premier Giorgia Meloni fare la parte del leone nel sostenere il suo candidato, l’uscente Marco Marsilio. Obiettivo dichiarato: scongiurare l’effetto Sardegna e mantenere saldo il fortino da cui è partita la scalata di Fratelli d’Italia, nonchè regione nel cui collegio è stata eletta proprio la presidente del Consiglio.

Tra sondaggi embargati da entrambe le parti e numeri per galvanizzare le truppe – vittoria con distacco per la destra, testa a testa per il centrosinistra – lo scontro con lo sfidante Luciano D’Amico è aperto e la competizione sembra quella delle grandi occasioni.

Così anche Meloni ha calato l’artiglieria retorica pesante e facendo pesare in ogni dichiarazione il rapporto sinergico che la lega a Marsilio, nel sottinteso che questo abbia giovato e gioverà alla sua amministrazione.

Certo è che il palco di Pescara è stato anticipato rispetto alla chiusura della campagna elettorale, che di prassi avviene il venerdì prima del fine settimana elettorale: una casualità dovuta alle fittissime agende dei leader di centrodestra o forse una scelta calcolata per evitare parallelismi da sovrapposizione con Alessandra Todde, la vincitrice sarda che arriverà a sostenere D’Amico in una dinamica tutta di amministratori locali, con i volti nazionali più defilati.

La spinta di Meloni per Marsilio è arrivata lunedì e lei ha dato fondo al suo repertorio, rivendicando l’attenzione data alla regione – «Sono stata eletta qui, alle brutte mi cacciate» - e ironizzando sull’l'effetto Sardegna, «dobbiamo ancora vederlo, perchè non si è ancora capito com'è finita».

Una battuta sulle lungaggini dello scrutinio sardo utile a dirsi «molto ottimista» sull’esito del voto abruzzese. Eppure, l’ansia e il fastidio serpeggiano. Il responsabile organizzazione, Giovanni Donzelli, ha accompagnato Meloni e le fa fatto il controcanto: «In Sardegna il centrodestra come liste è sopra il centrosinistra ed è cresciuto di 8 punti», ha detto, «perché una volta forse pareggiano forse, non è che poi hanno vinto il gran premio del mondo».

Le infrastrutture

Prima di arrivare in piazza a Pescara dove era attesa con gli altri leader, Meloni si è spesa anche in solidaria dal palco più istituzionale della camera di commercio di Teramo, dove ha ricordato «cosa abbiamo fatto in questi cinque anni», in una prima persona plurale che la lega indissolubilmente a Marsilio.

Il vero argomento scelto dalla premier per rivendicare i successi, però, è un dito nell’occhio all’alleato leghista. O meglio, un’appropriazione del tema che proprio Matteo Salvini, da ministro dei Trasporti, rivendica come suo e non accetta invasioni di campo a livello nazionale.

Meloni, infatti, ha ribattuto al «reddito di cittadinanza» della sinistra le «infrastrutture di cittadinanza», perchè l’Abruzzo «non chiede assistenza o regali ma solo infrastrutture di collegamento per competere ad armi pari». E poi via ad elencare strade e collegamenti, portuali, stradali e ferroviari. A partire dall’ormai celeberrima ferrovia Roma-Pescara, in ballo da ventidue anni e di cui la premier si è intestata il merito: «Il governo l’ha stralciata dal Pnrr perchè con quei tempi non si sarebbe potuta realizzare e sarebbe saltata, ma ha trovato altri fondi per finanziarla, con uno stanziamento di 720 milioni per mettere in sicurezza la linea ferroviaria». E pazienza se proprio il Mit di Salvini, nei giorni scorsi quando la notizia è stata resa nota, avesse fatto uscire una nota dai toni infastiditi per essersi vista bruciare sul tempo nel comunicare l’investimento.

Dal palco

Il comizio di piazza Salotto a Pescara, tuttavia, ha stentato a riempirsi e l’inizio della chiusura unitaria della campagna elettorale di Marsilio è cominciata con tutta calma. L’ultima a parlare è stata Meloni che ha rilanciato lo slogan delle «infrastrutture di cittadinanza», anticipata da Lorenzo Cesa per l'Udc, Maurizio Lupi di Noi Moderati, il presidente della Regione Marco Marsilio, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Lo sfoggio di unità è andato in scena davanti a una schiera di bandiere di vari colori: quella azzurra di Forza Italia e soprattutto quella fiammeggiante di Fratelli d’Italia erano le più numerose. Nessuna, invece, con il simbolo leghista di Alberto da Giussano. Arrivato in piazza, però, Salvini ha ostentato entusiasmo: «Vinciamo, e la Lega arriva a doppia cifra».

A margine della piazza ha trovato spazio anche un trattore, simbolo della protesta degli agricoltori ormai rientrata e con due bandiere italiane appese.

Marsilio dal palco a ricalcato l’intervento di Meloni, parlando di «un Abruzzo protagonista che ha rialzato la testa. Partono i lavori della ferrovia Roma-Pescara e la faremo tutta, non restituiamo un euro dei fondi europei, abbiamo garantito la terapia intensiva pediatrica, ma di quale sfascio della sanità parlano i nostri avversari? Di quello che ci hanno lasciato loro», ha detto chiamando dal pubblico «l'urlo dei lupi abruzzesi, altro che spifferi sardi».

Il clima è quello della resa dei conti: il centrodestra ha bisogno della vittoria netta per cancellare i fantasmi isolani e ristabilire la narrazione di una luna di miele ancora in corso con l’elettorato. Fondamentale in vista delle europee della primavera, per cui Meloni non ha ancora sciolto le riserve rispetto a una sua candidatura.

E la scelta certamente sarà influenzata anche dall’esito di questa tornata di regionali: Sardegna persa, Abruzzo in bilico e Basilicata ad aprile. 

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