Quasi alla fine della legislatura, si riaffaccia all’orizzonte uno degli scogli intorno a cui si sono consumate più battaglie negli ultimi anni: il Mes. Il ministro dell’Economia Daniele Franco ha annunciato ieri durante il question time alla Camera che il governo proporrà il voto definitivo sulla ratifica del meccanismo europeo di stabilità modificato dalla riforma approvata a fine 2020. 

Il ministro non ha dato indicazioni temporali, ma è probabile che il testo sarà proposto in parlamento a stretto giro: a non averlo ancora ratificato sono rimasti nell’Unione solo Italia e Germania. Berlino sta aspettando il giudizio della Corte costituzionale su alcuni rilievi sollevati dai liberali della Fdp, previsto per marzo prossimo. 

«Il tema è stato oggetto di discussioni parlamentari fin dal 2018, in diversi momenti, in assemblea e nelle commissioni parlamentari sia alla Camera che al Senato. Ratificare l’accordo emendativo del Mes darà seguito agli impegni assunti dall'Italia nei confronti dei partner europei» ha detto il ministro in aula. 

Ma, come è già successo diverse volte nelle ultime settimane su decreto Milleproroghe e green pass, il governo rischia la spaccatura: anche stavolta la protagonista del dissenso sarà la Lega. 

A dicembre 2020 la situazione per il partito di Matteo Salvini era però nettamente più semplice. La Lega si trovava all’opposizione e la linea sul Mes era saldamente in mano al Capitano e ai due ultra oppositori del Mes Claudio Borghi e Alberto Bagnai. Il partito era arrivato a presentare anche una mozione di sfiducia nei confronti del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. 

Ieri dalla Lega facevano sapere che il Mes non è «un tema che stiamo affrontando», ma la posizione del partito è diventata nettamente più scomoda. Il Carroccio è in maggioranza, ma come è successo nelle altre occasioni potrebbe decidere per la libertà di coscienza o proporre una linea di rottura, arrivando anche a mettere in difficoltà il governo. 

Gli altri partiti rischiano meno dissenso interno: a differenza di fine 2020, quasi tutti gli eletti del Movimento 5 stelle che disapprovavano la linea del governo Conte II sul Mes ormai non sono più parte del partito. Nel programma elettorale del 2018 il M5s aveva esplicitamente dichiarato la propria contrarietà allo strumento, ma la capogruppo in Commissione finanza alla Camera Vita Martinciglio ci tiene a sottolineare che «non è un voto sull’applicazione del Mes, per cui non ci sarebbe in ogni caso una maggioranza». 

Tanti dei frondisti sono passati in Alternativa, che dall’opposizione ha già annunciato che voterà contro la ratifica. Esattamente come Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni non usa mezzi termini: «Noi non abbiamo cambiato idea: siamo pronti a respingere con tutte le nostre forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia».

Se Pd, Leu e Iv non hanno mai avuto problemi a votare i testi riguardanti il Mes e nei Cinque stelle al di là di singole voci di dissenso il pericolo della fronda di due anni fa è disinnescato, la votazione sulla ratifica potrebbe creare problemi, oltre che al Carroccio, all’altro partito di centrodestra della maggioranza, Forza Italia, che allora si era astenuta alla Camera e aveva lasciato l’aula al Senato.

Il contenuto della riforma

Gli aspetti più problematici per gli allora Cinque stelle contrari alla riforma e la Lega erano principalmente tre: il rafforzamento del ruolo del Mes nel sistema finanziario europeo, il meccanismo di obblighi relativi ai fondi ottenuti e le regole di ristrutturazione del debito. 

Gli oppositori del Mes temono innanzitutto che l’organismo europeo possa accumulare troppo potere a scapito della Commissione europea, creando una situazione in cui le decisioni politiche valgono meno delle norme economiche.

In secondo luogo, in base alla riforma, gli obblighi di riforma da adempiere per accedere allo strumento sarebbero più o meno stringenti in base alla situazione del debito del paese. «In una situazione in cui siamo tutti d’accordo che le regole del patto di stabilità vanno riformate, accettiamo di vincolare gli aiuti economici europei a un sistema obsoleto» dice Raphael Raduzzi, ex Cinque stelle espulso per non aver votato la fiducia al governo Draghi, da sempre scettico sul Mes e ora in Alternativa. 

Il terzo problema per i critici è quello che riguarda l’obbligo più duro da imporre a un paese in difficoltà economica, la ristrutturazione del debito pubblico. Se il debito non sarà infatti considerato sostenibile sarà chiesta un taglio del suo valore: secondo chi si oppone alla ratifica, il nuovo meccanismo renderebbe l’approvazione della ristrutturazione eccessivamente semplice e fuori dalla portata decisionale del paese in difficoltà. 

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