Le dichiarazioni dei politici non sempre brillano per chiarezza. Se si tratta di politici che appartengono alla maggioranza di governo è opportuno provare a spiegarle, a beneficio di tutti. In questo caso, il riferimento è alle esternazioni, da un lato, di Ignazio La Russa, presidente del Senato, sulla cosiddetta mini-naja, un periodo di servizio militare, breve e volontario, per i giovani; dall’altro lato, di Daniela Santanchè, ministra del Turismo, secondo la quale, prima di occuparsi delle concessioni balneari – da mettere  a gara entro il 31 dicembre 2023, come previsto da una sentenza del Consiglio di stato che ha annullato l’ultima proroga dei titoli al 2033 – bisognerebbe assegnare a privati le cosiddette spiagge libere per tenerle in ordine.

La mini-naja

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La Russa afferma che la base della sua proposta sarebbe una «legge che è ancora in vigore anche se non viene più finanziata da molto tempo». Va chiarito di quale legge si tratta. Nel 2010 (d.l.n. 78/2010) fu autorizzata in via sperimentale per un triennio – 2010, 2011 e 2012 – la spesa per «l’organizzazione da parte delle Forze armate, di corsi di formazione a carattere teorico-pratico, tendenti a rafforzare la conoscenza e la condivisione dei valori che da esse promanano e che sono alla base della presenza dei militari italiani (…) nelle missioni internazionali».

I corsi dovevano avere «durata non superiore a tre settimane». La spesa fu poi autorizzata in via permanente nel 2012, inserendo nel Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66/2010) una specifica norma sui corsi di formazione. Ma la legge di stabilità per il 2015 abolì il finanziamento. La norma sui corsi di formazione, invece, rimase vigente, se pure non finanziata.

Nel 2018, con una nuova proposta di legge, si tornò all’idea dei corsi di formazione in ambito militare per i cittadini italiani tra i 18 e i 22 anni, sempre su base volontaria e non retribuiti, con crediti formativi per gli studenti universitari, ma di durata semestrale, e non più di tre settimane. La proposta di legge, approvata dalla Camera nel marzo 2019, poi si arenò al Senato.

Ora La Russa, sulla base della legge del 2010 – ancora vigente, come detto – vorrebbe riesumare la proposta. Il periodo di formazione diverrebbe di quaranta giorni e per una fascia di età più ampia, dai 16 ai 25 anni, con «una serie di incentivi che possono essere punti per la maturità per tutti i tipi di scuola, una serie di incentivi per la laurea, come un esame in più o un vantaggio a livello di formazione, e un punteggio aggiuntivo per tutti i concorsi pubblici».

Al riguardo, premesso che l’iniziativa non potrebbe essere destinata solo a giovani italiani – per questa limitazione si ipotizzarono profili di incostituzionalità già riguardo alla proposta del 2018 – può essere utile richiamare quanto osservava circa la legge del 2010 il generale Leonardo Tricarico.

L’ufficiale aveva definito come «discutibile l’utilità delle tre settimane di mini-naja», aggiungendo che le risorse per finanziarla sarebbero state «meglio impiegate per ampliare il contingente da arruolare o per trattenere il personale in ferma prefissata già addestrato a caro prezzo». Si rammenta che tra il 2012 e il 2014 i fondi per la mini-naja ammontarono a circa 21 milioni.

Secondo La Russa, la nuova proposta consentirebbe ai ragazzi di «imparare cosa è l’amore per l’Italia e il senso civico». Ma per promuovere i valori fondativi della Repubblica e fornire ai giovani un’occasione di formazione e di crescita personale esiste il servizio civile, da ultimo disciplinato nel 2017 (d.lgs. n. 40), la cui durata viene modulata in base alle esigenze di vita e di lavoro dei giovani, ed è comunque compresa tra gli otto e i dodici mesi.

Una leva volontaria di quaranta giorni rischia di essere inutile sotto il profilo formativo, data la breve durata: in un momento in cui i fondi scarseggiano bisognerebbe valutarne la destinazione a fini più proficui e di maggiore urgenza.

Concessioni balneari

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Riguardo alle concessioni balneari, Santanchè ha affermato che servirà una mappatura, e «ci vorrà del tempo», «poi fare delle gare che consentano a chi fa questo lavoro di continuare a farlo».

Più che un’affermazione, pare una rassicurazione. Come accennato, una sentenza del Consiglio di stato ha sancito che le concessioni balneari vadano riassegnate tramite gara entro il 2023, in conformità al diritto europeo.

Nel settembre scorso, il governo ha approvato un decreto che ne prevede la preventiva ricognizione. Poi un ulteriore decreto dovrà definire i criteri di gara. Ma per Santanchè «sarebbe bene prima assegnare quelle spiagge che ora non sono assolutamente servite e ove ci sono tossicodipendenti, rifiuti». Insomma, secondo la ministra, prima delle gare sulle attuali concessioni, bisognerebbe attribuire a privati le spiagge libere, per «tenerle in ordine».

È necessario qualche chiarimento. Innanzitutto, la legge dispone che le regioni, sentiti i comuni, devono «individuare un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili».

Quindi, gli stabilimenti devono essere intervallati da spiagge libere, con adeguata alternanza. Il report Spiagge 2021” di Legambiente rileva l’aumento delle concessioni balneari su tutto il territorio italiano: in Sicilia, ad esempio, c’è stato un incremento pari al 41,5 per cento rispetto al 2018.

E, soprattutto, mentre alcune normative regionali dispongono una idonea proporzione tra le spiagge pubbliche e quelle in concessione – Puglia e Sardegna prevedono il 60 per cento di spiagge libere, nel Lazio la percentuale è al 50 per cento – in Emilia-Romagna, Campania e Abruzzo il limite minimo fissato per le spiagge libere è di appena il 20 per cento; nelle Marche è il 25 per cento; in Molise il 30 per cento.

In cinque regioni (Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto), addirittura, «non esiste alcuna norma che specifichi una percentuale».

Basti pensare alla sfilza di stabilimenti in Versilia o alla provincia di Massa Carrara, dove si arriva a una media del 90 per cento di spiagge in concessione. E comunque, anche ove una percentuale è prevista, non sempre viene rispettata.

Non posso esserci solo stabilimenti privati. Ma il comune, cui spetterebbe la pulizia della spiaggia libera, può attribuire il compito a soggetti privati, come spesso accade.

Forse Santanchè si riferiva a questo tipo di concessioni. Se così è, il governo dovrebbe verificare se i soggetti cui spetta pulire lo facciano in maniera adeguata; e, come proposto da Legambiente, occorrerebbe pure, ad esempio, che fornisse per legge indicazioni nazionali sulla «occupazione massima di spiagge in concessione» o che verificasse la possibilità di accesso agli stabilimenti per le persone con disabilità e molto altro.

Un buon dibattito pubblico dev’essere informato. Sarebbe meglio per tutti che i politici non limitassero la propria comunicazione a frasi ad effetto. Ciò anche allo scopo di evitare che altri, in particolare i giornali, debbano poi provare a interpretare cosa intendessero dire. 

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