Daniela Santanchè si occuperà anche dei balneari, seppure in maniera indiretta, per la gioia degli imprenditori del settore. La ministra del Turismo avrà voce in capitolo sul dossier che la riguarda molto da vicino, in quanto titolare insieme a Flavio Briatore dello stabilimento Twiga, a Forte dei Marmi in Versilia. Certo, non sarà lei a decidere in prima persona, perché il compito principale ricadrà su Nello Musumeci, ministro del Mare e del sud, insieme alla premier Giorgia Meloni, che potrà supervisionare i passaggi. Ma la titolare del Turismo potrà esprimersi nell’organismo creato appositamente dal governo Meloni per la gestione, tra le varie cose, proprio delle concessioni demaniali marittime.

Il decreto ministeri, esaminato nel Consiglio dei ministri di ieri, attribuisce la funzione di «valorizzazione del demanio marittimo, con particolare riferimento alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative» al neonato Comitato interministeriale di coordinamento delle politiche del mare (Cipom), istituito a palazzo Chigi e posto sotto la guida del presidente del Consiglio o del ministro delegato per le politiche del mare. E quindi dell’ex presidente della Regione Sicilia Musumeci.

Santanchè al tavolo

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Cosa c’entra Santanchè? Il cavillo è rintracciabile nella spiegazione di come funzionerà la macchina del Cipom: i vari ministeri, compreso quello del Turismo, possono nominare dei delegati per le riunioni che si terranno all’interno del comitato. E non solo.

«Al comitato partecipano gli altri ministri aventi competenza nelle materie oggetto delle tematiche poste all'ordine del giorno. I ministri possono delegare a partecipare un vice ministro o un sottosegretario», specifica nel provvedimento.

Insomma, quando si dovrà entrare nello specifico delle concessioni balneari, il ministero del Turismo dovrà essere, legittimamente, interpellato partecipando all’incontro. A quel punto si aprirà un bivio: o presenzia direttamente Santanché, con tutta l’ombra pesante del conflitto di interessi, oppure il dicastero non sarà rappresentato, perché manca la figura del sottosegretario o di un viceministro, non prevista dal governo Meloni.

Quindi, se anche la ministra rinunciasse a partecipare alla riunione, su base volontaria per evitare le prevedibili polemiche, creerebbe un vuoto: il suo dicastero non potrebbe pronunciarsi su un capitolo rilevante per il comparto turistico.

L’ennesimo cortocircuito innescato da una nomina che fin dall’inizio ha sollevato proteste. La ministra, comunque, ha tirato dritto, confermando la volontà di conservare le quote del Twiga e rimettendosi alla presidente del Consiglio per l’assegnazione delle deleghe sulle concessioni demaniali marittime.

I porti per Salvini

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Oltre alla vicenda dei balneari, il decreto ministeri ha chiarito il perimetro delle competenze sui porti. Come previsto ha lasciato la gestione delle capitanerie di porto al dicastero delle Infrastrutture, Matteo Salvini, così come chiesto dal leader leghista.

Il ministro Musumeci sarà chiamato a sovrintendere la «risorsa mare dal punto di vista ecologico, ambientale, logistico, economico», mentre in materia di sistema portuale dovrà occuparsi della valorizzazione e dello sviluppo. Sarà spettatore e poco più delle decisioni targate Salvini-Rixi, il braccio destro del segretario della Lega che gestirà la macchina operativa del Mit.

Una vittoria politica per l’asse leghista, che nel frattempo ha imposto al Ministero la vecchia denominazione. Sparisce la definizione «mobilità sostenibili» e torna la dicitura «dei trasporti», cancellando la novità introdotta del predecessore Enrico Giovannini. Il trend è anche la cifra del governo, che cancella le locuzioni «sviluppo sostenibile» e «transizione ecologica» per fare spazio al principio di «sicurezza energetica».

Compromesso made in Italy

Il decreto ha risolto l’assegnazione della delega ai servizi ad Alfredo Mantovano, introducendo un’apposita deroga alla legge, mentre su altre vicende è stato necessario il bilancino per raggiungere un compromesso. È il caso della promozione delle aziende italiane oltre confine.

Il governo Meloni ha trovato la scappatoia, istituendo un nuovo organismo, ossia il Comitato interministeriale per il Made in Italy nel mondo (Cimim) che avrà «il compito di indirizzare e coordinare le strategie in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese italiane, al fine di valorizzare il made in Italy nel mondo».

E che vedrà alla guida il ministero degli Affari esteri di Antonio Tajani e il ministero delle Imprese e del made in Italy, guidato da Adolfo Urso, al centro di uno scontro per gestire il dossier.

La questione dell’Ice è stata aggirata, lasciando l’agenzia per la promozione all’estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane in capo alla Farnesina. Ma creando allo stesso tempo una struttura ad hoc che tra le varie cose dovrà tutelare il tessuto industriale, «anche in relazione all’imposizione di nuovi dazi». 

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