Netto elemento separatore fra Prima e Seconda Repubblica, testa di ponte di una nuova classe politica, incomparabile icona dei combattenti nell’agone elettorale a forza di telepromozioni, Silvio Berlusconi ha rappresentato l’incarnazione più perfetta della “turbopolitica”, gregaria della comunicazione rapida ed essenziale imposta dai tempi televisivi.

Campione di populismo mediatico e di embrayage, con cui riusciva ad attirare attorialmente a sé l’interlocutore, chiamato ogni volta a partecipare delle varie vicende della sua storia professionale e personale, Berlusconi ha sostituito la capacità di parlare alle folle dei grandi, carismatici personaggi del passato con l’appeal di apparizioni televisive in pose (quasi) sempre sorridenti e rassicuranti.

Con lui la narrativizzazione, la concettualizzazione e i quadri d’insieme familiari alla testualità giornalistica hanno lasciato il posto alla parcellizzazione dell’informazione, alle sloganistiche parole d’ordine, alle rapide schematizzazioni, ai discorsi improntati a una comunicazione “povera” o “diretta”. Con la sua discesa in campo la spettacolarizzazione della politica e la liderizzazione dei suoi rappresentanti più autorevoli, potenti o carismatici, avviate negli anni Settanta da Marco Pannella, hanno subìto una decisa accelerazione.

Soprannomi

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Uno, nessuno, centomila Berlusconi. Qual è stato il più autentico? O sarebbe forse meglio chiedersi: qual è stato il più espressivo, il più creativo, il più spettacolare, il più divertente? I soprannomi che gli sono stati affibbiati negli anni, consolidati o occasionali, ci restituiscono la sgusciante multiformità del berlusconismo, la congenita capacità dell’artefice di mutare abito a seconda dei tempi o delle occasioni, del competitor o dell’alleato.

Mai, per qualità e quantità, si sono registrati così tanti nomignoli per un politico nella storia repubblicana (e monarchica) italiana: Bellachioma (Marco Travaglio), Bellicapelli, Berlusca, Berluscaz, Berlusconi (e dittatore, miliardario, presidente) ridens, Berluscosa (e Berluscoso), Burlesquoni, Cavalier Banana, Er Bandana, Figlio di Putin, Il Cavaliere Mascarato (lanciato da Striscia la Notizia), Il Cavoliere, Il rifatto di Dorian Gray, Jena ridens, L’Uomo di Arcore (e della Provvidenza), Sua Emittenza, Sua Impunità (ancora Travaglio), Testa d’Asfalto (Beppe Grillo). L’elenco sarebbe lunghissimo.

Berlussonini fa rima con Mussolini. Berluscao fa il verso all’arboriano cacao meravigliao; Berluskaiser glielo appioppò Umberto Bossi; Berluskamen se lo è attribuito lui stesso (come L’Unto del Signore). E poi Er Catrame, per l’immobilità della chioma nel dopotrapianto; Er Monnezza, per l’impegno profuso per liberare Napoli dalla spazzatura; Culatello, concorrente alimentare del Mortadella (Romano Prodi) con una “faccia” in più; Frottolino amoroso, con cui la vignettista Ellekappa apostrofò in versi anche un «misterioso Direttore di TG» (nella sua goliardica replica a Bondi, ministro poeta su “Vanity Fair”).

E ancora la “svantaggiosità verticale” dell’uomo, condita in varie salse: da bandanano a nano malefico; da nanefrottolo a psiconano (ancora Grillo); da nano pelato a nano di gomma; da mafionano a Il Cainano (Il Caimano dissimulato, of course); da Al Tappone (sempre Travaglio) a Truffolo (sempre Grillo), Méntolo e Silviolo, ottavi nani. Geniale Il Tulinano, che prende due piccioni con una fava (i tulipani, si sa, vengono dai Paesi Bassi), ma Reo Silvio, coniato ai tempi di Romolo e Remolo, li batte tutti.

Autopromozione

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Anni fa proposi di aggiungere alla serie Sua Spottosità. Perché alla base della multiforme identità berlusconiana c’era l’idea di voler assumere le fattezze di un human brand disseminato in una miriade di sottogeneri.

Tutta la vita di Berlusconi è stata uno spot che ha fatto propria la posizione di privilegio del personaggio, trasformandolo in un potente e inossidabile marchio aziendale in grado di acquistare forza e notorietà anche dalle critiche di nemici e avversari. Le modalità della comunicazione politica di Berlusconi sono state al fondo una forma spudorata di pubblicità.

Tutti i programmi di partito del Cavaliere, contratti con gli italiani inclusi, sono stati sfacciatissimi promo. Il film della sua vita è stato un insieme di impudenti autopromozioni: self-made man e lavoratore indefesso; marito e padre modello; politico-martire contro i teatranti della politica; seduttore irresistibile e sciupafemmine. Il sorriso, poi, è stato quello di un’icona di consumo. Come l’omino Michelin.

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