L’ondata epidemica in corso, provocata dalla nuova sottovariante Ba.5 di Omicron, è in aumento vertiginoso. Perché? Per due motivi fondamentali. La sottovariante Ba.5 è molto più contagiosa delle altre passate: ha un R0 tra 18 e 20, il che significa che ogni infetto da questo virus in media può contagiare tra 18 e 20 altri individui, mentre chi era infetto dalle varianti precedenti riusciva a contagiarne al massimo tra tre e sei.

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Inoltre, Ba.5 riesce a evadere almeno in parte dai vaccini, ovvero i vaccini ci proteggono da Omicron in maniera meno efficace rispetto al passato.

Tutti questi fenomeni dipendono dalla conformazione molecolare del virus, e da quella delle nostre cellule e degli anticorpi che il nostro corpo produce.

Immaginatevi di diventare piccolissimi, più piccoli di una delle nostre cellule. Il coronavirus è formato da un involucro esterno denominato capside, che contiene al suo interno il patrimonio genetico del virus, costituito da Rna.

Il capside del virus è formato da tante molecole di proteine, ognuna delle quali è costituita da una lunga catena di mattoncini denominati aminoacidi, avvolta su sé stessa.

Ognuno di questi aminoacidi porta una serie di cariche positive e negative diverse dall’altro, e perciò gli aminoacidi vicini lungo la catena proteica si attraggono o si respingono sulla base delle loro cariche. La sequenza degli aminoacidi e il gioco di attrazione e repulsione tra di essi influenza come la catena proteica si “arrotola” su sé stessa, in altre parole determina la sua struttura nello spazio.

Proteina mutata

La proteina più importante del coronavirus è la cosiddetta proteina spike – cioè “spina”. Si chiama così perché costituisce le minuscole protuberanze a forma di spina che sporgono dal capside, cioè dalla corona, del virus.

La proteina spike svolge un ruolo fondamentale: è la proteina che il coronavirus utilizza per attaccarsi ad altre speciali proteine – chiamate Ace2 – che si trovano sulla membrana di certe nostre cellule come quelle dell’epitelio delle nostre vie aeree, dei nostri alveoli polmonari e dei nostri vasi sanguigni.

In gergo tecnico, si dice che le proteine si attaccano l’una all’altra con un meccanismo “key and lock”, cioè come una chiave penetra in una serratura.

In questo caso, la struttura della proteina spike del virus, determinata dalla sua sequenza di aminoacidi, la rende una chiave che penetra all’interno della serratura costituita dalla struttura della proteina Ace2 delle nostre cellule.

Più perfettamente la chiave spike penetra nella serratura Ace2 meglio il coronavirus si attacca alle nostre cellule. In gergo tecnico, si dice che migliore è l’affinità della proteina spike del coronavirus per la proteina Ace2 delle nostre cellule, e maggiore è la contagiosità della variante del coronavirus.

La variante Ba.5 di Omicron ha acquisito due nuove mutazioni a livello della sua proteina spike che la rendono più affine al nostro recettore Ace2, e perciò più contagiosa.

La prima mutazione è denominata L452R, il che significa che, nella lunga catena di aminoacidi che compongono la proteine spike, l’aminoacido situato in posizione 452 – di solito una leucina – è sostituito da una arginina. L’altra mutazione è chiamata F486V, il che significa che l’aminoacido situato in posizione 486 – di solito una fenilalanina – viene sostituito da una valina.

Questi due aminoacidi mutati portano cariche elettriche diverse rispetto agli aminoacidi delle varianti precedenti, e perciò la proteina spike della variante Omicron Ba.5 ha una struttura diversa, che la rende più contagiosa.

Variante “appiccicosa”

Il coronavirus Ba.5 mutato diffuso da un individuo infetto si attacca molto più facilmente alle cellule epiteliali delle vie aeree di chi gli sta attorno: e questo spiega perché adesso un portatore di Omicron riesce a infettare 18-20 persone, mentre un portatore delle varianti precedenti riusciva a infettarne solo da tre a sei.

Ma non è tutto. Visto che la variante Ba.5 di Omicron è così “appiccicosa”, questo spiega perché essa si attacchi subito alle cellule delle nostre vie aeree alte (naso e gola), e solo raramente essa riesca a raggiungere i nostri alveoli polmonari, molto più in basso.

In questo modo Omicron provoca quasi sempre infezioni delle vie aeree superiori, con raffreddore e mal di gola, e solo raramente le polmoniti tipiche delle varianti precedenti.

Residents wearing masks rest on a bench, Wednesday, June 29, 2022, in Beijing. (AP Photo/Ng Han Guan)

Ma spike è anche la proteina più “antigenica” del coronavirus, ovvero il suo antigene più potente, cioè quello contro cui si dirige la risposta immunitaria più efficace del nostro organismo.

Quando il coronavirus penetra all’interno del nostro organismo, viene riconosciuto come “estraneo”, e ciò scatena la nostra risposta immunitaria.

Il coronavirus attiva speciali cellule immunitarie denominate linfociti B, ognuno dei quali comincia a produrre e a rilasciare anticorpi specifici, i quali non sono altro che proteine in grado di legarsi a porzioni specifiche delle varie proteine della superficie del virus.

Ogni linfocita B attivato inizia a moltiplicarsi, generando un clone di linfociti B che producono uno e un solo tipo di anticorpi contro una porzione specifica di una delle proteine del virus.

Cioè, ogni linfocita B riconosce una porzione specifica di una proteina della superficie virus, e inizia a produrre e rilasciare una serie di anticorpi tutti uguali che si modellano proprio su una porzione di quella proteina del virus, e che si attaccano a essa, ancora una volta, come una chiave che penetra nella sua serratura.

Gli anticorpi

I vari linfociti B, una volta attivati, producono ognuno un tipo di anticorpi diverso, contro le varie proteine del virus. Ma non tutti gli anticorpi hanno una efficacia identica nel combatterlo. Nel caso del coronavirus, gli anticorpi più efficaci sono quelli diretti contro la proteina spike, perché colpiscono la porzione fondamentale del virus, quella che lui utilizza per attaccarsi alle nostre cellule.

Qual è il problema? Il problema è che se noi siamo stati vaccinati contro la variante Wuhan 1 (quella contenuta nei vaccini) del coronavirus, i nostri linfociti B hanno imparato a produrre anticorpi che sono perfetti per penetrare e inattivare la serratura costituita dalla proteina spike della variante Wuhan 1, ma che penetrano peggio, e quindi inattivano peggio, la serratura costituita dalla proteina spike della variante Ba.5 di Omicron, che è mutata e quindi ha una struttura diversa.

Allo stesso modo, chi è stato infettato in passato dalla variante Delta ha anticorpi efficaci contro la variante Delta, ma meno contro Omicron Ba.5.

In maniera simile, quando il coronavirus penetra nel nostro organismo, esso attiva una serie di linfociti T che possiedono sulla loro superficie speciali proteine in grado di riconoscere porzioni di proteine specifiche del virus.

Anche in questo caso i linfociti T killer (il nome spiega la loro funzione) che imparano a riconoscere la proteina spike del coronavirus sono quelli che meglio degli altri riescono a inattivare e a uccidere il virus.

Ma i linfociti T che hanno imparato a riconoscere la proteina spike del virus Wuhan contenuta nei vaccini non riescono a riconoscere e inattivare con la stessa efficacia la proteina spike della subvariante Ba.5 di Omicron.

A worker in sample collection station for coronavirus testing hands over a sample tube for a resident, Wednesday, June 29, 2022, in Beijing. (AP Photo/Ng Han Guan)

Per questa serie di ragioni, la subvariante Ba.5 di Omicron riesce a “evadere” almeno in parte dai vaccini, o per meglio dire essi riescono ancora a proteggerci in maniera sufficiente dalla malattia grave e dalla morte e in maniera meno efficace dal contagio, il che spiega perché molti di noi – anche chi è vaccinato con tre dosi o che ha avuto infezioni precedenti – ora si ammala lo stesso ma fortunatamente in maniera non grave.

Non tutte le mutazioni del virus sono uguali. Ci sono mutazioni che modificano di poco la struttura della proteina spike, e quindi gli anticorpi prodotti dai linfociti B e i linfociti T riescono ancora a riconoscere e a inattivare questa variante mutata del virus.

Invece, ci sono mutazioni che modificano in maniera più profonda la struttura della proteina spike, e quindi gli anticorpi prodotti dai linfociti B e i linfociti T – la chiave – non riescono più a riconoscere la nuova serratura.

Per questo motivo, entro i primi mesi del prossimo anno noi dovremo probabilmente vaccinarci con vaccini aggiornati contro Omicron, e contro le nuove varianti mutate e aggressive che saranno sorte nel frattempo.

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