Il consiglio dei ministri slitta di mezz’ora. E’ quasi mezzanotte quando le ministre renziane Teresa Bellanova e Elena Bonetti annunciano la loro astensione sul Recovery plan, che nel frattempo è cambiato ancora. Diminuito di dieci pagine. In quel momento Matteo Renzi è in tv e ripete nervosamente il suo rosario: sul ritiro dell’appoggio al governo «decideremo domani nel pomeriggio», cioè mercoledì, non si andrà al voto anticipato, se Conte ha i voti dei responsabili si accomodi e faccia un nuovo governo, ci avete sempre dato ragione troppo tardi, «ci stanno offrendo di tutto, non vogliamo poltrone». La giornata si conclude con un rinvio dell’apertura formale della crisi di ancora un giorno. Ma la tensione si è alzata, e senza rimedio. 

Fortezza Chigi 

«Vi ringrazio, ma non dico nulla». Poco prima delle quattro del pomeriggio il ministro e capo delegazione del Pd al governo Dario Franceschini lascia palazzo Chigi e manda in bianco i cronisti. Ha parlato con il presidente Conte. Ufficialmente fra il premier e Renzi non c’è trattativa in corso, non c’è più da ore. Ufficiosamente anche i pontieri più pazienti hanno gettato la spugna: anche quelli che in questi giorni non hanno mai smesso di avere un filo diretto con Matteo Renzi, Goffredo Bettini e Franceschini. Ora si corre verso la crisi.

Sicuramente corre all’impazzata il leader di Italia viva, che non smette di dire ai suoi «No al Conte ter». Ma ormai è chiaro anche al Pd una cosa che fin qui chiara non era: anche Giuseppe Conte ha ingranato la quarta. In mattinata, da palazzo Chigi dov’è asserragliato con i suoi, il premier fa filtrare una minaccia che, soprattutto nel tono, nessuno si aspetta: «Se il leader di Iv, Matteo Renzi, si assumerà la responsabilità di una crisi di governo in piena pandemia, per il presidente Conte sarà impossibile rifare un nuovo esecutivo con il sostegno di Italia Viva». Viene da «fonti di palazzo Chigi». Per ore il Pd aspetta una smentita. Che non arriva.  

Dunque siamo al muro contro muro, con corredo di esibizioni di muscoli e facce feroci. Uno spettacolo che, visto dal Colle, è particolarmente preoccupante per le incognite che lascia aperte. Gli artificieri si ritirano, ormai la sfida fra Conte e Renzi, o Renzi e Conte, è un meccanismo a orologeria che non può più essere disinnescato. Nel pomeriggio Italia viva fa sapere che la sera, al Consiglio dei ministri, le ministre Bellanova e Bonetti voteranno per il Recovery fund ma non si dimetteranno. Almeno per ora.

Mercoledì, domani, la maggioranza ci sarà ancora, almeno alle 9 e mezza alla Camera per votare per le comunicazioni del ministro della Salute, Roberto Speranza, e poi ancora alle 16 al Senato. Italia viva non farà mancare il suo sì al nuovo Dpcm, lo ha assicurato lo stesso Renzi telefonando al ministro. Dirà sì alla proroga dello stato di emergenza, e al nuovo scostamento di bilancio per i nuovi ristori. Poi, alle 17 3 30, il leader terrà una conferenza stampa. E darà l’annuncio del ritiro della delegazione di governo.

Nel Pd si scrutano le agenzie come i fondi delle tazzine: si cercano i segni di una crisi che rallenta. Ma è solo una speranza: «Il confronto va avanti sui contenuti», spiegano in effetti da Italia viva. Affiora qualche tono meno ruvido. Come quello di Luigi Marattin: «Dal nostro punto di vista non c’è un discorso di poltrone. Da cittadino, ancor prima che da parlamentare, vorrei un governo all’altezza con le idee chiare e con le persone ai posti giusti». 

Ma palazzo Chigi ormai ha suonato il segnale della battaglia, e i Cinque stelle – per giorni assenti e taciturni –  intervengono in batteria a dare degli «irresponsabili» ai renziani. e minacciare: «Non sarebbe più credibile andare avanti con chi decide di ritirare i ministri». Parla la ministra Azzolina, il ministro Spadafora, il sottosegretario Sibilia, e via scendendo in una serie di perepé copia-incolla. Chiarissimo il senso della musica: i grillini hanno trovato il modo di liberarsi di Renzi, padre del governo più di loro, ma alleato sempre detestato, un’intolleranza che viene da lontano, a lungo trattenuta, ora esplode.

Il governo Conte-Mastella

A questo punto da Italia viva partono risposte uguali e contrarie: «Mai più un governo con Renzi se fa la crisi? Va bene, vedremo, potrebbero scegliere di fare un governo con Forza italia e Fratelli d’Italia, così hanno preso tutto l’arco costituzionale». Quella di Ettore Rosato è una provocazione. Ma è vero che qualcosa si muove al Senato. Clemente Mastella, veterano delle crisi di governo (è uno dei responsabili della caduta del governo Prodi due del 2008) fa cucù: «Farò un’iniziativa per strutturare i parlamentari responsabili». È la carta coperta del premier, l’asso che, con tempismo perfetto, viene calato sul tavolo da gioco? I cronisti ricacciano fuori i taccuini a quadretti, quelli con i conti: 168 i voti della maggioranza, 161 la maggioranza assoluta,  18 i voti di Iv.  168 meno 18 fa 150.  Dieci responsabili e due senatori a vita e il Conte ter parte. Ma per dove? Al senato peraltro i regolamenti parlamentari non consentono la formazione di un gruppo. Occhi puntati sul simbolo dell’Udc e quello di Idea. Gli interessati smentiscono. Nessuna operazione di questo genere sarebbe possibile senza un sì di Silvio Berlusconi.

Eppure poco prima anche Goffredo Bettini aveva lasciato intuire qualcosa: «Se prevarrà uno spirito distruttivo, si andrà in mare aperto. E spetterà ai singoli parlamentari guardare dentro la loro coscienza e decidere se continuare sulla strada di un rapporto positivo con l’Europa e salvare, con le risorse del Recovery Fund, il Paese; oppure portarci alle elezioni. Esito, quest’ultimo, incomprensibile e dannoso». Poi su Rete4 torna sul concetto: «Ci sono delle forze che vogliono contribuire nel segno di un rapporto con l'Europa e penso che al momento opportuno queste forze possano palesarsi».  Dal Nazareno arriva un messaggio sibillino: «Siamo per rafforzare questa maggioranza, rilanciare il governo e approvare il Recovery». Rafforzare una maggioranza che non c’è più?

Renzi scommette sui responsabili

L’irritazione dei renziani è sempre più forte. Al senato si materializza Renzi e si intrattiene con i giornalisti.  E’ su di giri, scherza sui responsabili, poi ammette: «A me non poteva andare meglio di così, io la faccia sullo spreco di denaro pubblico non ce la metto. Dicono che gli mancano due responsabili? Li aiuto a trovarli. Io non avevo cominciato per farlo fuori, ma ora mi faccio fuori io», e ancora «andranno avanti per un po',  io farò un opposizione diversa da quella di Salvini».

Il Pd tenta di mettere un po’ di razionalità alle esplosioni d’ira dell’ex premier. Ma quello che ha preso tutti alla sprovvista è l’improvvisa accelerazione di Conte. Viene descritto come ormai convinto della linea di scontro totale con Iv suggerita da giorni dal Fatto quotidiano. Toni che anche al Colle sono considerati fuori misura.  Il dem convocano un gabinetto di guerra. No a maggioranze raccogliticce, si dice: e anche questo è un ragionamento che arriva da Colle. Che del resto lo faceva capire da tempo: non si può affidare la gestione del nuovo piano Marshall, il grande rilancio del paese, a una maggioranza improvvisata e sempre in bilico.  

Il Pd tenta un ultimo appello: no alla crisi, dice la nota finale firmata dal gotha del partito, il segretario Nicola Zingaretti, Franceschini, Orlando e i capigruppo di camera e senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci. E’ quasi più per Conte che per Renzi.  «La via maestra per servire l’Italia è approvare la bozza del Recovery Plan modificata con il contributo delle forze politiche, avviare il percorso parlamentare e impegnarsi per attivare in fretta le misure per il rilancio, l’economia, il lavoro. Subito, da domani, su proposta del presidente Conte si discuta e si approvi il patto di legislatura per affrontare i problemi aperti e per rilanciare l’azione di governo. Questa è una scelta di responsabilità e innovazione che deve spingere tutti a ritrovare il coraggio del dialogo e della collaborazione per il bene comune». Si aspetta il consiglio dei ministri. E di leader in tv, a parlare senza ascoltarsi, quello che hanno fatto fin qui intorno a un tavolo. 

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