Giuseppe Conte si è scoperto pacifista giusto in tempo. Le tempistiche della nuova linea Cinque stelle sul conflitto, che si distanzia progressivamente dall’accordo con il resto della maggioranza di inizio marzo, sembra casuale, ma in realtà risponde a un calcolo elettorale.

Rimettendo in fila le decisioni che ha preso Conte nelle settimane successive all’invasione russa dell’Ucraina al primo sguardo sembra di essere di fronte a una linea incoerente. In un primo momento, infatti, i Cinque stelle hanno votato senza troppi problemi il primo decreto Ucraina, che dava di fatto carta bianca al premier nella decisione del genere di aiuti da fornire a Kiev.

Poi, a partire dalla risoluzione che autorizzava l’aumento delle spese militari per raggiungere in prospettiva l’obiettivo di spesa del 2 per cento del Pil previsto dal patto dei paesi Nato, la strategia del Movimento si è progressivamente distanziata da quella del resto della maggioranza, fatta eccezione, per certi aspetti, per quella della Lega.

In quell’occasione i Cinque stelle avevano puntato i piedi sull’aumento delle spese militari per il raggiungimento degli obiettivi Nato.

Per trovare una ragione alla decisione di Conte di cavalcare in maniera sempre più intransigente una linea pacifista, bisogna guardare i numeri. Nello specifico, quelli dei sondaggi. La speranza del presidente del Movimento, tormentato da settimane da rilevazioni poco generose nei confronti del suo partito, è infatti quella di raccogliere il voto di chi spera in una soluzione diplomatica e non è d’accordo a fornire ulteriori aiuti militari all’Ucraina.

I numeri

Conte parla a una fetta di popolazione ampia, per quanto in parte condizionata dal tipo di domande poste dai sondaggisti, fin dall’inizio del conflitto: il primo marzo di fronte alla domanda di Termometro politico «È a favore della spedizione di armi all’esercito ucraino decisa dal governo?», il 42,3 per cento rispondeva “Sì”, mentre il 55,3 per cento si diceva contrario.

Il sentimento pacifista col progredire del conflitto non ha fatto che diffondersi. In un sondaggio Euromedia dell’11 marzo, a neanche venti giorni dallo scoppio del conflitto, gli intervistati che sostenevano che la cosa migliore fosse concludere subito il conflitto con la resa dell’Ucraina erano il 38 per cento, a un soffio da coloro che invece sostenevano la resistenza di Kiev (39 per cento).

Il 14 aprile Euromedia rilevava che il 45,7 per cento degli intervistati era contrario all’invio di nuove armi, un valore che il 27 aprile saliva al 46,2 per cento. Per Ipsos il 2 maggio i pacifisti erano addirittura il 48 per cento degli intervistati.

Demos ieri rilevava anche che secondo il 41 per cento degli interpellati il conflitto è isolato e riguarda i due paesi coinvolti, mentre il 38 per cento ritiene che si estenderà anche ad altri paesi di quell’area.

Le scelte di Conte

Se si guardano le date dei sondaggi e le percentuali di intervistati contrari agli aiuti militari e si mettono a confronto con l’inasprirsi della linea di Conte emerge il disegno dei Cinque stelle. Se il Movimento aveva dominato il dibattito politico di fine marzo con il conflitto sulle spese per il riarmo nazionale, ottenendo alla fine un rinvio del termine per il raggiungimento del traguardo Nato al 2028, nelle settimane successive Conte era passato a chiedere aiuti per i cittadini in difficoltà per l’aumento dei prezzi.

A fine aprile Conte si era dedicato invece all’opportunità di inviare nuovi aiuti militari a Kiev. Verso fine mese, il 26, aveva tirato in ballo l’articolo 51 della Carta Onu, spiegando che il limite di ulteriori aiuti internazionali sarebbe dovuto essere quello dell’autodifesa individuato nel testo. In quell’occasione ha iniziato anche a chiedere a Draghi di riferire in aula prima del suo viaggio negli Stati Uniti.

La richiesta di riconsiderare la linea italiana nel conflitto ha raccolto le simpatie della sinistra extra Pd, ma Conte è consapevole di potere recuperare consensi anche da altre aree politiche. Un sondaggio di Demos del 9 maggio rivela infatti che il pacifismo non è considerato «né di destra né di sinistra» dal 75 per cento degli intervistati: un dato che deve aver colpito anche Matteo Salvini, che sta proponendo un approccio simile da destra.

Venerdì scorso, Conte ha alzato ulteriormente il tiro, arrivando a porre di fronte alla stampa estera il termine del terzo decreto di aiuti come limite agli aiuti militari che il Movimento è pronto a sostenere raccomandando invece un maggiore impegno sul fronte diplomatico. Sabato il segretario dem Enrico Letta aveva mandato un messaggio all’alleato spiegando che di fronte a una crisi di governo non potrebbero esserci altre soluzioni se non il voto. A raffreddare gli animi è intervenuto ieri il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha ricordato l’affidabilità del Movimento sulle ultime decisioni a proposito degli aiuti militari. A due giorni dall’informativa di Draghi, non è chiaro se oltre alla discussione d’aula il malumore Cinque stelle possa precipitare in qualcosa di più concreto. Dall’audizione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini al Copasir, dove siede anche una delegazione Cinque stelle, è uscita una dichiarazione condivis in cui il presidente Adolfo Urso spiega che il decreto è in linea con «le indicazioni e agli indirizzi dettati dal parlamento». Nessuna voce critica si è alzata sulla dichiarazione.

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