Le solenni tende di velluto marrone resteranno nel cassetto. Saranno sostituite da un materiale più contemporaneo, magari meno elegante ma più facilmente sanificabile dopo un tempo comunque limitato di ore di uso.

Sempreché il catafalco non venga abolito, visto che il suo uso è una prassi recente, ma non è regolato. Tempo di dubbi amletici alla Camera. L’11 gennaio dovrebbero riunirsi i questori di Camera e Senato, giovedì si riunirà il collegio dei questori di Montecitorio, che comunque saranno i “padroni di casa” delle votazioni del voto per il presidente della Repubblica, ma quel giorno stesso Roberto Fico riunirà la prima capigruppo dell’anno.

Come votare nell’era del Covid non è all’ordine del giorno, ma è scontato che il presidente della Camera farà una ricognizione sulle proposte delle forze politiche. Il Pd ha già inviato una lettera, 53 deputati hanno espresso le loro perplessità e la deputata Lisa Noja, di Italia viva, che è portatrice di disabilità, ha già chiesto il tampone per ogni collega che entra nel palazzo e ha fatto appello «al senso di responsabilità di ciascuno», anche «nella vita privata».

Ripristinato il distanziamento

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Le nuove regole dunque arriveranno alla fine di questa settimana. Intanto da ieri a Montecitorio sono tornate in vigore quelle dell’autunno scorso, che erano state sospese a novembre.

Ripristinato il distanziamento con la riduzione della capienza delle aule sedi di commissioni e dell’auletta dei gruppi parlamentari, sanificazione dell’aula ogni tre ore e mezzo, con la novità della mascherina Ffp2 obbligatoria per tutti.

Per ora il Transatlantico è tornato a ospitare le postazioni di voto dei deputati (in aula votano solo in 400 su 630), ma dal 24 gennaio il seggio per l’elezione del presidente della Repubblica sarà unico, quindi il Transatlantico si libererà.

Ma si “espanderà” nel cortile, per consentire il distanziamento fisico (attualmente non è previsto che i giornalisti vengano di nuovo tenuti alla larga), e per evitare le intemperie sarà istallata una tensostruttura, e dei “funghi” per distribuire un po’ di calore, ambientalisti permettendo: i più comuni sono alimentati a gas propano, e il presidente potrebbe trovarsi di fronte alla protesta dei suoi compagni di “movimento”, ma dal palazzo viene promesso che saranno caloriferi della generazione più moderna e green. Il 24 gennaio si celebrerà la prima “chiama”.

L’orientamento è di proseguire con una votazione al giorno. Perché se dovesse partire la giostra dei voti successivi, due al giorno sarebbe complicato: per le due chiame di prassi, lo scrutinio delle schede e la sanificazione, ci vogliono cinque ore e mezza, se non sei. Quindi è immaginabile un primo giro alle 8 di mattina e un secondo intorno alle 15.

Ma il problema dei grandi elettori che saranno impossibilitati a votare per contagio o isolamento resta al momento pressoché insormontabile. A ieri i deputati positivi erano scesi da 33 a 25, e gli isolati a 6, grazie alle nuove regole sulla quarantena. Sommati a quelli del Senato si arriva a una cinquantina. Fin qui chi è in malattia non ha votato per la presidenza della Repubblica.

Ma fin qui si trattava di malati ricoverati, o impossibilitati. Il Covid è un altro genere di malattia, non necessariamente invalidante al voto, come sostiene ormai un pattuglione di parlamentari favorevoli al voto a distanza capitanati dal deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti. Ma una schiera di giuristi fa derivare il no della Carta al voto da remoto.

Voto a distanza?

Oltre al parlamento europeo, nel corso della pandemia magistralmente presieduto dal democratico italiano David Sassoli – da giorni ricoverato in Italia, fra gli auguri affettuosi e bipartisan di tutti i colleghi – ci sono esempi di voto a distanza anche in alcuni parlamenti nazionali. Più particolare però la necessità di garantire il voto segreto, come sarà durante le elezioni per il Colle.

«Bisogna distinguere quando il parlamento opera in una seduta deliberativa, con interventi, dichiarazioni e voti, da quando è semplice seggio elettorale», spiega Ceccanti. «Nel primo caso possono e debbono pesare di più gli elementi di protezione della salute e, a meno che non si usi il voto da remoto, è più che giusto porre limiti all’accesso. Nel secondo caso prevale l’aspetto di tutela del diritto di elettorato attivo. E ferma restando la tutela della salute degli altri si fa più impellente la ricerca di soluzioni che consentano a tutti di votare».

Stavolta la pensa alla stessa maniera anche Massimo Villone, costituzionalista rigorosissimo in genere: «Nel caso dell’elezione del presidente della Repubblica la Camera è solo seggio elettorale, cioè non sede di una procedura parlamentare di formazione di legge. Io in generale sono contrario al voto a distanza, per ragioni politiche, perché non si dia l’idea che un parlamentare lavori comodamente da casa sua, a differenza di tutti gli altri cittadini», spiega, «ma in questo caso introdurrei il voto da remoto, limitatamente a chi non è in condizioni di raggiungere il seggio.

La segretezza può essere comunque garantita. Diverso il discorso per i parlamentari No-vax: non li farei votare. Dovrebbero valere le regole che valgono per gli altri posti di lavoro: in questo caso il principio di eguaglianza sul diritto parlamentare speciale».

Il “deputato Covid”

In realtà, spiegano i funzionari, il problema non sarà solo il voto. Sarà anche e forse soprattutto il momento della proclamazione del nuovo presidente: alla quale i 1.009 grandi elettori avranno il diritto, almeno sulla carta, di assistere in presenza.

Dallo staff del presidente della Camera spiegano che oggi appare tutto e solo tecnico, in realtà «è politico»: se i partiti riusciranno ad accordarsi su un nome a larga maggioranza, dunque eletto con votazione a valanga, fra le prime tre, che sia Mario Draghi o Sergio Mattarella, il tema del peso degli assenti non si porrà.

Si porrà se invece, consumati i primi tre voti a maggioranza assoluta, si procede verso un’elezione di una parte del parlamento, con differenze di misura. In quel caso il deputato Covid farà la differenza.

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