Rilanciare il senso profondo e l’utilità storica del Pd, ricostruendo la nostra capacità di rappresentanza sociale e puntando su una squadra capace di indicare visioni e soluzioni, particolarmente urgenti dopo un anno in cui è cambiato e sta cambiando il mondo.

Questo per me è quello che dovremo fare, a partire dall’assemblea di domenica 14 marzo. Il dibattito, come purtroppo spesso accade, è invece troppo centrato sul nome di chi dovrà rivestire la funzione di segretario, scelta certamente decisiva, ma non sufficiente. Non sufficiente perché quella che abbiamo sempre rivendicato è un’idea di politica aperta e partecipata, che certo non può esaurirsi nella logica di una persona sola al comando, ma richiede energie e competenze collettive e plurali di donne e uomini per quanto poi rappresentate e sintetizzate dal o dalla leader. Non è sufficiente inoltre perché lo scenario che si è determinato dopo la formazione del governo, il dibattito interno e le dimissioni di Nicola Zingaretti ci pone la questione della convivenza, del merito e delle modalità di condivisione che ci diamo e per le quali è indispensabile ragionare andando oltre la sola scelta di un nome. Ed è per questo che sarà necessario prevedere il percorso congressuale.

Non è naturale che tutti o quasi i segretari del partito si siano dimessi in questi anni lamentando di essere bersaglio di critiche interne, come non è normale che chi ha svolto la funzione di segretario abbia per ben due volte scelto la strada della scissione. Significa che non siamo ancora fino in fondo riuscite e riusciti a far vivere davvero l’idea del Pd per come l’abbiamo pensato quando è nato, una comunità larga, aperta, rispettosa delle reciproche differenze, considerate un valore per costruire una rappresentanza più efficace. Qui c’è l’unità dei riformismi.

Il pluralismo per noi è irrinunciabile, è e deve essere considerato da ognuna e ognuno di noi come una ricchezza per tutte e tutti. Perché è l’unico modo per essere davvero democratici e rappresentativi, per agire in modo non autoreferenziale, ma con lo sguardo rivolto alle persone e alla società.

Ecco perché sono convinta che serva una squadra. E non penso alla squadra del segretario, come abbiamo troppe volte visto, ma alla squadra del Pd, a un gruppo dirigente che sappia ritessere nella società i fili della rappresentanza, del dialogo, della condivisione di prospettive, della fiducia. L’agenda è davanti a noi ed è quella del governo Draghi. Intervenendo in Senato nel dibattito per la fiducia al governo ho sintetizzato tre grandi investimenti: il primo riguarda quella che chiamo filiera della conoscenza, servono investimenti sulla scuola e su tutto il sistema di istruzione, formazione e di ricerca. Il secondo investimento strategico è sulla modernizzazione del paese, su quelle sfide di transizione ecologica e digitale che sono pilastri del Next Generation Eu e ora anche del governo italiano in attuazione dell’Agenda 2030 dell’Onu. Il terzo investimento strategico è un investimento trasversale, insieme economico e culturale: la parità di genere, a partire dall’occupazione femminile. Il Pd, superando gli errori anche dell’ultima fase, deve assumere definitivamente la parità di genere come questione non femminile ma del paese e indicarla come asse centrale di ogni visione futura.

Dovremo nei prossimi mesi essere protagonisti dell’azione di governo. Ecco perché la squadra e di conseguenza la forza di rappresentanza sono decisive: per superare personalismi e correnti divisive e per rispettare le differenti sensibilità socialdemocratiche e liberaldemocratiche, che sono da considerare un valore aggiunto se inserito in un’ottica di condivisione.

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