Basta una parolina, patrimoniale, e si alza un polverone. Anche stavolta nessuna eccezione: l'emendamento Leu-Pd, con le firme di Nicola Fratoianni e Matteo Orfini, ha scaldato il clima intorno alla manovra 2020 ben prima che l'esame parlamentare delle circa 7mila proposte di modifica – per soddisfarle c'è un tesoretto da 800 milioni – entri nel vivo.

Nonostante la presa di distanze del segretario Dem, Nicola Zingaretti, Orfini non molla. «Ritirare questo emendamento? Nemmeno per sogno, resta, e poi il Parlamento farà la sua valutazione. Noi contiamo di convincere un po' di persone, le cose cambiano, anche quando dicevo di abolire i decreti sicurezza mi dicevano di no e poi...».

Ma la proposta di un'aliquota dello 0,2 per cento sui patrimoni superiori a 500mila euro e fino a un milione di euro e dello 0,5 per cento sopra il milione di euro fa storcere il naso agli alleati. «Non è il momento di alzare le tasse», dice da Iv Ettore Rosato, «Non mi sembra il messaggio da dare oggi. Abbiamo bisogno di spendere i soldi che arrivano». E taglia corto, sembra dal Nazareno, il viceministro all'Economia Antonio Misiani: «L'ipotesi di una imposta patrimoniale progressiva non è nel programma di governo, non è nelle proposte del Partito democratico».

Ancora più tranchant il pentastellato Luigi Di Maio: «Se qualcuno pensa che si può uscire dalla crisi economica aumentando le tasse ci troverà esattamente dall'altra parte». Ora, incalza, «è il momento di eliminare tante microtasse e fare una riforma del fisco» e non di pesare sul ceto medio.

«Di Maio sostiene di aver visto i dettagli della proposta sulla patrimoniale, non ne dubito», gli risponde Orfini, «Purtroppo a quanto pare non li ha capiti».

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