All’origine della prima elezione dell’imprenditore Luigi Brugnaro a sindaco di Venezia nel 2015 c’è la storia di un tradimento politico. Un accordo riservato in vista del ballottaggio, siglato il 5 giugno 2015 da Brugnaro, Gian Angelo Bellati (liste autonomiste) e Alberto Semenzato (Lega nord), prevedeva infatti l’impegno, per il futuro primo cittadino, di separare Venezia e Mestre facendo nascere due comuni autonomi, «ricercare con ogni mezzo l’elezione democratica del sindaco metropolitano» e promuovere la «celebrazione del referendum» sulla separazione.

L’alleanza dai dettagli segreti (non divulgabile «se non in caso di sua violazione», come si legge nel documento pubblicato qui sopra) ha permesso a Brugnaro di vincere al ballottaggio con il 53,2 per cento contro l’ex magistrato e parlamentare Felice Casson, che al primo turno l’aveva superato di dieci punti. Meno di sei mesi dopo l’elezione a sindaco, il colpo di scena: Brugnaro è diventato il più tenace oppositore della creazione dei due comuni (insulare e di terraferma, la cui unificazione è stata decisa nel 1926, per decreto, da Benito Mussolini) e ha respinto in tutti i modi anche solo l’idea di celebrare il referendum, tenutosi infine il 1° dicembre 2019 senza raggiungere il quorum.

Il sindaco ha ostacolato in ogni modo la consultazione popolare, invitando apertamente a disertare le urne, promuovendo ricorsi, facendo approvare statuti di segno opposto. Persino definendo gli (ormai ex) alleati, in un’intervista a una televisione locale, degli «sfigati».

I promotori avrebbero voluto accorpare il referendum a quello sull’autonomia voluto dal governatore Luca Zaia nel 2017, ma i veneziani sono andati alle urne solo due anni dopo, all’indomani della disastrosa acqua alta che nel novembre 2019 ha messo in ginocchio la città, registrando un’affluenza bassissima: il 21,7 per cento. Così gli ex alleati di Brugnaro, avendo perso tutto, lo scorso febbraio hanno deciso di presentare un esposto contro il sindaco per la sua campagna antireferendaria, in seguito al quale la procura di Venezia ha aperto un fascicolo per abuso d’ufficio e attentato ai diritti politici del cittadino.

Battaglia legale

Da decenni i veneziani si dividono sulla separazione di Venezia dalla terraferma: quattro referendum popolari in passato hanno bocciato l’iniziativa mentre l’ultimo del 2019, in cui hanno vinto i sì, ha mancato il quorum. Ma gli elettori di Brugnaro sono a conoscenza del patto segreto non rispettato? Per quale motivo il sindaco-imprenditore l’ha prima sottoscritto sposando le istanze dei «separatisti» per poi far fallire il progetto? E quanto è stato determinante quell’accordo per la vittoria al ballottaggio nel 2015? Il sindaco di Venezia, interpellato da Domani, ha preferito non rispondere. Di certo la sua attività amministrativa dopo la prima elezione è stata diretta contro ogni ipotesi di separazione. Il 20 gennaio 2016 Brugnaro ha fatto approvare lo statuto della città metropolitana di Venezia con un preciso riferimento all’impossibilità di dividere i due comuni: una previsione che secondo l’avvocato Marco Sitran, che assiste gli estensori dell’esposto contro il primo cittadino, «è in aperto contrasto con la legge Delrio, anche se nessun sindaco dell’area metropolitana l’ha mai impugnata».

Il sindaco ha presentato anche un ricorso, impugnando il giudizio di meritevolezza espresso dal consiglio regionale sulla legge di iniziativa popolare per la creazione dei due comuni autonomi di Venezia e Mestre: è stato accolto in primo grado dal Tar del Veneto, impedendo a lungo la celebrazione del referendum. Ma il Consiglio di stato nel 2019 ha ribaltato la sentenza, respingendo i ricorsi del comune di Venezia: via libera alla consultazione.

Ormai sono passati più di sei anni dal deposito delle oltre 8mila firme dei promotori. Brugnaro intanto, dalle colonne del Gazzettino, invita i veneziani «a esercitare il diritto di non andare a votare». Appello accolto dai cittadini. Con gli ex alleati ormai è guerra aperta: insulti, frasi di scherno, esposti alla magistratura e cause civili incrociate con richieste di danni milionarie. Così è naufragata l’«alleanza politico-programmatica» che ha portato l’ex presidente della Confindustria di Venezia a Ca’ Farsetti nel 2015. Con un accordo da onorare «sia in caso di esito positivo del turno di ballottaggio sia in caso di esito negativo», per agire «nell’interesse della città e dei cittadini». Ma era un patto scritto sulla sabbia.

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