Senatore Luigi Zanda, lei davvero pensa che il centrosinistra possa vincere le prossime politiche?

Dopo l’accordo tra Letta e Calenda il centrodestra non parte più avvantaggiato. La vittoria del centrosinistra dipenderà da tre fattori. Naturalmente da quell’unità che oggi abbiamo faticosamente raggiunto e che adesso dobbiamo dimostrare che non consiste in un semplice espediente tattico. Ma anche dalla capacità di candidare nei collegi e nelle prime posizioni del proporzionale personalità dal profilo indiscusso, che siano garanzia di buona politica.

La interrompo. L’alleanza è una mezza babele, Calenda e Letta si sono riacciuffati ma con i rossoverdi l’accordo è difficile. Peggio dell’Unione, che viene usata come esempio di rissosità a sinistra.

Avremo la polarizzazione del voto con due partiti forti, FdI nel centrodestra e Pd nel centrosinistra. Guardi, le dico il contrario di quello che dicono tanti miei amici: la frantumazione non è una malattia inguaribile. Ma il Pd deve essere consapevole del suo ruolo di partito leader. Esercitare la forza delle sue radici e della sua classe dirigente.

Mi dica la terza condizione per la vittoria.

I temi della campagna elettorale. Se saranno proposti per abbagliare gli elettori, come il milione di alberi e i mille euro di Berlusconi, per il centrosinistra saranno dolori. Dobbiamo invece portare gli italiani a discutere sulle prospettive del nostro paese, dell’Europa e dell’Occidente, fare capire che siamo al grande scontro fra le democrazie e i sistemi autoritari, che il mondo è su un piano inclinato alla fine del quale ci sono solo due opzioni, un nuovo ordine mondiale siglato con una Helsinki 2 oppure prevarranno gli apparati militari. È chiaro che il Pd e i suoi alleati sono con le democrazie occidentali, mentre FdI, Lega e Fi oscillano tra Putin, Orbán, Kaczynski e Xi.

Sta dicendo che il mondo è diviso da una nuova cortina di ferro?

La guerra fredda non è replicabile, le relazioni economiche e finanziarie si sono globalizzate e ormai sono irrinunciabili. Ma è un fatto che nel disequilibrio globale si sono inseriti il fattore militare, il terrorismo internazionale, la grande criminalità, l’uso spregiudicato delle nuove tecnologie per la disinformazione e il condizionamento delle democrazie, nonché la lotta per il primato nello spazio.

In aula ha detto che il voto del 25 settembre è paragonabile a quello della Dc contro il Fronte popolare. La cito: «Anche nel '48 il discrimine del voto fu la collocazione internazionale dell’Italia».

Sono situazioni diverse, ovviamente, ma nel ‘48 gran parte degli elettori avevano chiara la posta in gioco: la scelta fra l’occidente democratico e il comunismo sovietico. Molti hanno votato per l’occidente anche se non avevano simpatia per la Dc.

Dunque gli eredi del Pci, di quelli che avevano combattuto per la libertà contro il nazifascismo, e che oggi stanno nel suo stesso partito, all’epoca si schierarono contro l’occidente?

Non è un segreto, lo sostenevano apertamente. Nel 1948 e per molti anni ancora erano per il Patto di Varsavia e contro la Nato. Guardi, era un altro mondo, chi viene da quel Pci oggi ha scelto l’occidente, la democrazia. E la Nato. Oggi, caduto il Muro, è più chiara a tutti la divisione fra democrazie e regimi autoritari. Sarà uno degli oggetti veri del voto italiano, e dobbiamo avere la forza di imporlo nel dibattito. Dobbiamo chiedere conto a Meloni, Salvini e Conte dei rapporti con Orbán, Putin, con Xi, con Kaczynski, con l’Europa illiberale. È la prima grande differenza fra di qua e di là.

Cosa significherebbe Meloni rappresentante del nostro paese nei tavoli europei?

Non lo voglio immaginare e non voglio usare argomenti personali in campagna elettorale.

Perché?

Gli italiani sono in grado di comprendere da soli le serissime conseguenze del passaggio del testimone da Draghi a, speriamo di no, Meloni.

Non crede nel pericolo delle culture autoritarie, di qualche forma di nostalgia della destra?

Il fascismo è morto, sconfitto dalla democrazia. Non ci saranno più marce su Roma e camicie nere, qualche saluto romano talvolta si vede in giro ma è patetico. Ma questo non è un buon motivo per sottovalutare la destra nazionalista.

Per combattere la destra Letta dovrebbe competere con Conte che dice di essere la vera sinistra, e con i centristi dentro e fuori il Pd che lo accusano di spostare il partito troppo a sinistra. Come può centrare la misura?

L’idea che Conte provi a presentarsi come leader della vera sinistra mi fa sorridere. La sinistra e il Pd devono invece saper fare il loro mestiere e avere coscienza del loro ruolo. Il centrosinistra italiano non potrebbe esistere senza un grande partito come il Pd intorno al quale aggregarsi. Il Pd deve proteggere il suo ruolo di partito leader, anche e soprattutto nei rapporti con chi è politicamente nato da noi e poi se n’è andato.

Parla di Calenda e Renzi?

Noi abbiamo avuto quattro scissioni in quindici anni di vita. Rutelli, Calenda, Bersani, Renzi. Per me sono state tutte scissioni dolorose.

Fino a qualche settimana fa Conte era un punto di riferimento del centrosinistra. Ora lo è Draghi. Il Pd è ondivago?

Intanto non paragonerei Conte a Draghi. Non ho mai considerato Conte un punto di riferimento della sinistra.

Lei no, il suo precedente segretario sì.

Zingaretti si è ricreduto. Nella politica italiana c’è stato, negli ultimi decenni, troppo tatticismo e poco pensiero. Conte ha una responsabilità politica molto consistente. Ha presieduto un governo egemonizzato da Salvini. Subito dopo, senza soluzione di continuità, ha presieduto un governo con il Pd. Poi ha partecipato al governo Draghi per un anno e mezzo, e infine senza motivazione seria - nessuno crede alla storia dell’inceneritore di Roma, neanche lui - gli ha tolto la fiducia. Di fronte a un percorso così vario fatico a considerare Conte di sinistra e, men che meno, un punto di riferimento. Draghi invece è stato realmente un punto di riferimento istituzionale e di grande politica internazionale, non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa e per l’occidente.

Il Pd però ha accettato Conte premier, il taglio dei parlamentari, il tono giustizialista dei Cinque stelle. C’è un grillismo in voi di cui dovreste dichiarare chiusa la stagione?

C’è stato un eccesso di tatticismo. Non ero favorevole alla nascita del Conte due, ma ha evitato il rischio di elezioni che avrebbero potuto consegnare il paese a Salvini. È quell’accordo che ha prodotto il taglio dei parlamentari. Poi non abbiamo avuto la forza politica di far rispettare la prima condizione di quell’accordo: la modifica della legge elettorale.

Il Pd attacca gli irresponsabili che hanno tirato giù Draghi. Se la destra non riuscisse a vincere pienamente, il Pd farà come negli scorsi vent’anni il “responsabile”, la “protezione civile” come dice Letta? 

Sono italiano, se la destra dovesse vincere mi auguro che sappia governare il paese. Ma, da quel che sento, temo che non sia capace. Salvini e Berlusconi non hanno la minima idea di cosa voglia dire debito pubblico, scostamento di bilancio e contenimento della spesa pubblica. Meloni non ha chiaro cosa sia lo spirito che regge l’Unione europea e la sua politica ha accenti vistosamente nazionalistici. Se il governo della destra dovesse rompersi ci penserà il presidente della Repubblica. La mia opinione è che bisognerebbe tornare a votare. Senza il Pd nei primi anni di questa legislatura l’Italia sarebbe finita fuori dalla Ue, l’euro sarebbe entrato in crisi e la Nato senza Europa e senza euro non avrebbe retto. Adesso la stagione dell’unità nazionale ha dato il massimo con Draghi. Si è consumata.

Qual è la vera ragione per cui è caduto Draghi?

L’inesperienza politica di Conte, e la sveltezza di Berlusconi e Salvini che ne hanno approfittato per andare a votare in una fase che loro ritengono vantaggiosa.

Lei in Senato ha denunciato la debolezza del Parlamento. Che non esce certo rafforzato dalla stagione di Draghi. Che bilancio fa di questa legislatura?

Per il Parlamento il bilancio dell’ultima legislatura è negativo, ma non è un problema solo italiano. In tutto l’occidente le democrazie si sono indebolite. Per far riacquistare in pieno al Parlamento la sua posizione costituzionale di legislatore, è necessaria una riforma del bicameralismo e il chiarimento sui poteri del presidente del consiglio, sul modello del cancellierato.

E se le destre avranno i numeri per fare da sole le riforme costituzionali?

Non credo che riforme come la trasformazione dell’Italia da repubblica parlamentare a presidenziale possano farsi usando l’articolo 138 della Costituzione.

Alla fine ha ragione Putin, le democrazie liberali e parlamentari sono in crisi?

Putin annuncia sempre quello che fa. Ha minacciato l’Ucraina, noi non ci abbiamo creduto, e lui l’ha invasa. Ha detto che le democrazie liberali si avviano alla bella morte, e se non reagiremo rinforzandole, continuerà a lavorare per farle morire.

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