Dirigere un partito non equivale a condurre una campagna elettorale. Elly Schlein e i suoi collaboratori si sono rivelati abilissimi nell’impostare la raccolta del consenso. In occasione delle regionali dell’Emilia-Romagna la lista Coraggiosa, capitanata dalla neo segretaria del Pd, ha ottenuto un buon risultato e soprattutto la capolista è stata plebiscitata dal più alto numero di preferenze tra tutti i candidati. Un exploit che si è ripetuto nelle primarie dello scorso febbraio.

Efficace uso dei social media, linguaggio chiaro e fuori dagli schemi del politichese democrat, immagine fresca ed entusiasmo contagioso, immersione negli spazi di mobilitazione di comitati civici e movimenti, e, corrispettivamente, distanza fisica dagli ambienti dell’establishment: questi, al di là dei temi proposti, i fattori di successo delle campagne elettorali di Schlein.

Finita la competizione, esauriti gli entusiasmi collettivi, è il momento della quotidianità, della gestione di una organizzazione complessa. Il Pd è rimasto l’unico grande partito strutturato. La Lega lo imita ma in sedicesimo, essendo ancora tutto concentrato nel lombardo-veneto, con poche altre appendici. Il Pd vanta centinaia di migliaia di iscritti, una massa di militanti, senza i quali non si sarebbero mai organizzate le primarie, e molte migliaia di eletti, al governo in tutte le grandi città a eccezione di Palermo e Genova e nella maggior parte dei comuni sopra i 15.000 abitanti. Si tratta quindi di una organizzazione articolata, presente su tutto il territorio nazionale, attraverso una fitta rete di membri, attivisti e dirigenti.

Pur avendo lasciato per strada una quantità gigantesca di energie per ragioni che sono fin troppo note per essere riportate ancora una volta, il Pd dispone di risorse preziose e comparativamente abbondanti. Il problema della segretaria è come rimettere in moto e rivitalizzare questo corpaccione esausto, fiaccato da una serie tellurica di shock. Basti pensare ai traumatici cambi di leadership fin dai suoi esordi: una ecatombe che ha pochi paragoni tra i grandi partiti europei.

Ora tocca a Schlein rimotivare e rilanciare l’organizzazione democratica, con tutti i cambiamenti necessari per mettere in sintonia un partito tutto sommato novecentesco con il mondo digitale (e per capire quanto ce ne sia bisogno basta visitare il sito). Un compito più da cacciavite che da ruspa, per citare l’ex segretario Enrico Letta. La tentazione di fare terra bruciata del passato alletta sempre, e comprensibilmente, i neofiti. Però una iconoclastia organizzativa comporta dei rischi che non riguardano tanto e solo il partito in sé: impattano sul sistema politico nel suo complesso perché sollecitano una visione sostanzialmente antipolitica che tuttora circola nell’opinione pubblica. Un partito che si vuole responsabile deve evitare di lasciare il benché minimo spazio a derive anti partitiche e populiste.

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