In questi giorni, con l’emersione del problema – che covava da tempo – della crisi energetica, ci si chiede quali siano i poteri di un governo in carica solo per gli “affari correnti”, come il governo di Mario Draghi, presidente del Consiglio dimissionario.

Ciò soprattutto in quanto, tra le soluzioni proposte, alcuni politici invocano – o almeno ipotizzano – uno scostamento di bilancio.

Nella giornata del 28 agosto, a fronte del pressing dei leader dei partiti per un intervento di Draghi – inclusi quelli che non gli avevano rinnovato la fiducia a fine luglio, determinandone le dimissioni – una fonte di palazzo Chigi ha reso noto che non si può dare seguito alla proposta di scostamento: il governo è in carica solo per gli “affari correnti”.

Non si intende entrare nel merito di tale proposta, ma verificare se un governo in carica per l’ordinaria amministrazione abbia i poteri necessari per procedere a uno scostamento di bilancio, spiegando preventivamente di cosa si tratti, ai sensi di legge, e se ci siano gli estremi per potervi ricorrere.

Scostamento di bilancio

Lo scostamento dal pareggio di bilancio, cioè l’aumento del deficit rispetto a quanto previsto nei documenti di finanza pubblica già approvati, è consentito, «previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali» (articolo 81 della Costituzione). La legge (n. 243/2012, cosiddetta legge “rinforzata”) prevede che «scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico» siano possibili «esclusivamente in caso di eventi eccezionali».

Sono considerati tali «periodi di grave recessione economica» ed «eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, (…) con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese».

In questi casi, gli scostamenti sono permessi, sentita la Commissione europea e previa autorizzazione approvata dalle Camere, come detto.

Durante la pandemia da Covid-19, in più momenti si è fatto ricorso allo scostamento di bilancio. La situazione attuale, con la crisi energetica in atto e le conseguenze insostenibili per cittadini e aziende, può rientrare nelle ipotesi in cui l’uso di tale strumento sarebbe consentito.

Gli “affari correnti”

Né nella Costituzione né in altra fonte normativa si definiscono gli “affari correnti”. Pertanto, l’ordinaria amministrazione non ha limiti rigidi, ma risente del contesto entro cui si trova a operare un governo in regime di prorogatio.

Nella situazione attuale, caratterizzata da diverse emergenze, il perimetro degli “affari correnti” assume una connotazione particolare, e di una certa ampiezza. Di ciò si è avuta conferma nella dichiarazione pubblica resa dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al momento della presa d’atto delle dimissioni di Mario Draghi.

Mattarella ha rilevato che il periodo attuale «non consente pause negli interventi indispensabili per contrastare gli effetti della crisi economica e sociale e, in particolare, dell’aumento dell’inflazione che, causata soprattutto dal costo dell’energia e dei prodotti alimentari, comporta pesanti conseguenze per le famiglie e per le imprese. Interventi indispensabili, dunque, per fare fronte alle difficoltà economiche e alle loro ricadute sociali», specie per le categorie più deboli.

«Indispensabili per contenere gli effetti della guerra della Russia contro l’Ucraina (…). Indispensabili per la sempre più necessaria collaborazione a livello europeo e internazionale».

A queste esigenze – ha sottolineato il presidente – si affianca «quella della attuazione nei tempi concordati del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cui sono condizionati i necessari e consistenti fondi europei di sostegno. Né può essere ignorato il dovere di proseguire nell’azione di contrasto alla pandemia, che si manifesta tuttora pericolosamente diffusa».

Dunque, il governo si trova a fronteggiare emergenze – economica, sanitaria e internazionale – a fronte delle quali potrebbe adottare, pure in ordinaria amministrazione, provvedimenti imposti da “necessità ed urgenza”, cioè decreti-legge.

Anche l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), approvato dal parlamento, può per lo più essere ricondotta agli affari correnti.

Come disse lo stesso Draghi lo scorso dicembre, sono state create «le condizioni perché il lavoro sul Pnrr continui» indipendentemente da chi sarà al Governo. In altre parole, il Pnrr è stato già avviato nelle sue linee portanti, sulla base di un preciso indirizzo politico-operativo, e serve “ordinariamente” concretizzarlo, seguendo tali linee.

L’impostazione fornita dal capo dello stato si rinviene nella circolare del 21 luglio scorso, con cui il governo, come ogni esecutivo in prorogatio, ha definito il perimetro degli “affari correnti”, autolimitando la propria azione.

Gli “affari correnti” – secondo la circolare - consistono «nell’attuazione delle leggi e delle determinazioni già assunte dal parlamento e nell’adozione degli atti urgenti, ivi compresi gli atti legislativi, regolamentari e amministrativi necessari per fronteggiare le emergenze nazionali, le emergenze derivante dalla crisi internazionale e la situazione epidemiologica da covid-19. Il governo rimane altresì impegnato nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del piano nazionale degli investimenti complementari (Pnc). Dovrà in ogni caso essere assicurata la continuità dell’azione amministrativa».

Dunque, il Governo stesso si riconosce un ampio margine di azione per fronteggiare situazioni emergenziali, di crisi, quindi anche il potere di ricorrere a strumenti a ciò necessari, come potrebbe essere lo scostamento di bilancio.

Draghi non vuole lo scostamento

Accertato che ci sono le condizioni per chiedere alle Camere l’autorizzazione a uno scostamento di bilancio e che il governo ha i poteri per fare tale richiesta, pur se in ordinaria amministrazione, palazzo Chigi ha fatto sapere che non intende ricorrervi, come detto.

Può reputarsi che, al di là della motivazione utilizzata, Draghi non voglia aggravare la situazione dei conti pubblici, dopo la crescita del debito nazionale a seguito della crisi indotta dalla pandemia, anche per non esporre il paese al rischio di speculazione sui mercati finanziari.

L’intento di non procedere a uno scostamento si è forse rafforzato in vista delle soluzioni che potranno essere trovate il prossimo 9 settembre, al vertice dei ministri dell'Energia europei, ove si discuterà della separazione dei prezzi dell'elettricità dai prezzi del gas e, probabilmente, pure di “price cap”, il tetto massimo al prezzo del gas, specie considerata l’apertura della Germania a tale ipotesi.

E chissà se, con il rifiuto di uno scostamento, Draghi non voglia anche dare una risposta, a suo modo, a coloro i quali lo invocano per risolvere una crisi che, quando gli hanno tolto la fiducia in parlamento, erano consapevoli sarebbe arrivata.

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